ODI DI ORAZIO: LIBRO II
Eheu fugaces, Postume, Postume,
labuntur anni nec pietas moram
rugis et instanti senectae
adferet indomitaeque morti,
5 non, si trecenis quotquot eunt dies,
amice, places inlacrimabilem
Plutona tauris, qui ter amplum
Geryonen Tityonque tristi
compescit unda, scilicet omnibus
10 quicumque terrae munere vescimur
enaviganda, sive reges
sive inopes erimus coloni.
Frustra cruento Marte carebimus
fractisque rauci fluctibus Hadriae,
15 frustra per autumnos nocentem
corporibus metuemus Austrum:
visendus ater flumine languido
Cocytos errans et Danai genus
infame damnatusque longi
20 Sisyphus Aeolides laboris.
Linquenda tellus et domus et placens
uxor, neque harum quas colis arborum
te praeter invisas cupressos
ulla breuem dominum sequetur;
25 absumet heres Caecuba dignior
servata centum clavibus et mero
tinguet pavimentum superbo,
pontificum potiore cenis.
Ahimé fuggiaschi, Postumo, Postumo,
scivolano via gli anni, né un animo
devoto potrà ritardare l'incalzante
vecchiaia, le rughe, l'inesorabile morte,
neanche se tu voglia, amico, ogni giorno
che passa, placare con trecento tori
lo spietato Plutone che rinserra il vasto
Gerione dai tre corpi e Tizio nella triste
onda su cui tutti noi che nutre
il raccolto della terra dovremo
senza scampo navigare, sia se saremo re,
o poveri coloni.
Invano ci asterremo dal sanguinoso Marte
e dai flutti infranti del rauco Adriatico,
invano in autunno fuggiremo timorosi
l'Austro che nuoce alle membra.
Dovremo vedere il fosco Cocito errante
con torpido flusso, el astirpe maledetta
di Danao, e l'eolio Sisifo
condannato ad un lungo travaglio;
dovremo lasciare la nostra terra, la casa,
l'amata sposa: degli alberi che coltivi,
nessuno, fuorché l'inviso cipresso,
seguirà te, effimero padrone.
Un più degno erede berrà quei vini cecubi
serbati ora con cento chiavi,
e bagnerà il pavimento di vino superbo,
migliore che nelle cene dei pontefici.