Vito Apuleo

Jean-Pierre Velly,  in «Il Messaggero»
Roma, 11 dicembre 1980.

 “Dall’alchimia al barocchismo di maniera. È una definizione che già altra volta ho avuto modo di usare a proposito del lavoro di Jean-Pierre Velly e che mi sembra possa riproporsi ora che l’artista francese, quasi romano d’adozione, si presenta con queste due mostre che tendono a riassumere il suo credo operativo: alla Don Chisciotte il «bestiario perduto», al Centro Culturale Francese (in piazza Navona) l’intero corpus della sua opera grafica.
E non v’è frattura fra i due momenti. Questo Medioevo fantasioso e allucinatorio (come scrive Mario Praz) che serpeggia nella sua tematica; questa sorta di angoscia che popola la fantasia dell’artista di mostri usciti dalla memoria, mostri che alla luce del sole, poi, si riveleranno sostanzialmente innocui; questo bestiario che se raggela nel distacco ibernante nel quale è immerso, non rifiuta totalmente un certo gusto raffinato per la metafora evocatoria, sono tutte componenti che accompagnano costantemente l’indagine di Velly. In esse si innesta la sua prodigiosa abilità tecnica, cresce il tarlo del bulino, matura un addensarsi poetico di sentimenti che, lentamente, tendono alla scoperta di reattività emotive che, per la profondità dell’analisi, sembrano proporsi come la scelta alla quale l’artista affida il compito di esorcizzare questa sorta di «ossessione nordica» che affolla la visione a livello di inconscio.
Da un lato, quindi, la pressione di un rifiuto della ragione quasi a difesa di un segreto tenuto sotto la coperta della coscienza, dall’altro l’ipotesi redentiva perseguita attraverso l’affermazione di una fisicità realizzata per via di una manualità tesa a ripristinare lo statuto dell’arte attraverso il suo etimo”. 


Vito Apuleo, Jean-Pierre Velly
dans «Il Messaggero», Rome, 11 décembre 1980


« De l’alchimie au paroxysme du maniérisme est une définition du travail de Jean-Pierre Velly que j’avais déjà utilisée précédemment, et que je pourrais proposer à nouveau, maintenant que l’artiste français, romain d’adoption, présente deux expositions qui réaffirment son credo artistique : à la galerie Don Quichotte, le Bestiaire perdu, et au centre culturel français (sur la Place Navone) l’ensemble de son œuvre gravé.

Il n’y a pas de rupture entre ces deux événements. Ce Moyen Age fantastique et hallucinatoire (comme l’écrit justement Mario Praz) qui serpente dans sa thématique; cette sorte d’angoisse qui peuple la fantaisie de l’artiste de monstres sortis de la mémoire, monstres qui, à la lumière du soleil, se révèlent en réalité inoffensifs; ce bestiaire qui se glace dans un détachement hivernal dans lequel il est immergé, ne refuse pas totalement un certain goût raffiné pour la métaphore. Il est composé d’éléments qui accompagnent constamment la recherche de Velly. Sur ce se greffe sa prodigieuse habilité technique, la morsure du burin, d’où emerge un amoncellement poétique de sentiments qui, lentement, tendent vers la découverte de la réactivité émotive. La profondeur de l’analyse semble être la voie que l’artiste a choisi pour d’exorciser cette sorte « d’obsession nordique » qui envahit sa vision au niveau de l’inconscient. D’un côté, donc, la pression d’un refus de la raison presque pour défendre un secret caché sous la couverture de la conscience, de l’autre l’hypothèse rédemptrice poursuivie à travers l’affirmation d’une matérialité réalisée au moyen d’une manualité destinée à rétablir le statut de l’art à son étymologie première. »



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Vito Apuleo 

Le mostre. Jean-Pierre Velly, in «Il Messaggero», 
Roma, 24 aprile 1984. 

“Su fogli di carta antica spiegazzati Jean-Pierre Velly racconta con questi suoi acquerelli una lunga storia di piante, di foglie, di fiori minuti e preziosi nella loro delicata trasparenza. Una storia di trepidazioni, di suggestioni romantiche, di notturni abbandoni, di meditata poesia ma anche di inquietudini e di allarmi. Perché poi, a mio avviso, non è poi così rassicurante questo racconto dell’artista francese ormai romano d’adozione. Reperti di un mondo che tende a scomparire, questi fiori, per la patina di antico che li avvolge, non vogliono essere solo un inno alla natura ma anche un fatto di nostalgia, il senso di un qualcosa che via via non trova più spazio nella condizione dell’uomo tecnologico e che Velly cattura come brandelli di memoria immergendoli in una visionarietà addensata di trasalimenti. Lo spettacolo naturale, in tal modo, costituisce solo un’immagine-schermo. Dietro di essa si nasconde una realtà psichica, carica di affetti ambivalenti, riportabili a una realtà affascinante e contemporaneamente temibile, ostinatamente legata a un’idea di grandezza ma anche di morte".
 


Vito Apuleo 

Les expositions. Jean-Pierre Velly, 
dans «Il Messaggero», Rome, 24 avril 1984. 

« Sur des feuilles de papiers anciens froissées, Jean-Pierre Velly raconte avec ses aquarelles une longue histoire de plantes, de feuilles, de fleurs minutieuses et précieuses dans leur délicate transparence. Une histoire inquiétante, de suggestions romantiques, d’abandons nocturnes, de poésie méditée mais aussi d’alarmes. C’est pourquoi, à mon avis, l’histoire de cet artiste français devenu italien d’adoption, n’est pas si rassurante. Pièces archéologiques d’un monde qui tend à disparaître, ces fleurs, avec la patine du temps ne veulent pas seulement être un hymne à la nature mais aussi un fait de nostalgie, la manifestation de quelque chose qui petit à petit ne trouve plus d’espace dans la condition de l’homme technologique et que Velly capture comme des lambeaux de la mémoire, les immergeant dans une vision densifiée. Le spectacle naturel dans un tel monde, constitue seulement une image-écran. Derrière celle-ci se cache une réalité psychique, chargée d’ ambivalents affects, se rapportant à une réalité fascinante et en même temps terrible, obstinément liée à une idée de grandeur mais aussi de mort. »




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Vito Apuleo
Jean-Pierre Velly. Magia del tempo, 
in «Il Messaggero», Roma, 5 aprile 1988.

 “Un artista, Velly, che al tarlo del bulino aggiunge il tarlo di una visione romanticamente tenebrosa, pronta a coniugare il magistero tecnico con la sensazione, come scrive in catalogo Vittorio Sgarbi, «di un cupio dissolvi come atteggiamento dinanzi al tempo», dalla cui emerge l’inquietudine esistenziale dell’artista. Donde i suoi autoritratti scavati, invecchiati, quasi letti in virtù di una forzatura alchemica capace di superare il torbido fluire del presente, nel desiderio di inventare un’immagine e un emozione sostitutiva dell’immagine stessa. O ancora suoi nudi distaccati e astratti nella loro apparente classicità, qui si contrappongono le tensioni di alcuni paesaggi strappati al mutismo della contemplazione e tradotti in uno spazio senza tempo”. 



Vito Apuleo
Jean-Pierre Velly. Magie du temps, 
dans «Il Messaggero», Rome, 5 avril 1988

« Un artiste, Velly, qui à la morsure du burin ajoute la morsure d’une vision romantique et ténébreuse, prête à conjuguer la maîtrise technique avec la sensation, comme l’écrit Vittorio Sgarbi dans le catalogue, «d’un cupio dissolvi comme attitude face au temps» d’où émerge l’inquiétude existentielle de l’artiste. D’où ses autoportraits creusés, vieillis en vertu d’une exagération alchimique capable de dépasser le flux trouble du présent dans le désir d’inventer une image et une émotion substituant l’image même. Ou encore ces nus détachés et abstraits dans leur apparent classicisme, qui s’opposent aux tensions de certains paysages arrachés au mutisme de la contemplation et traduits dans un espace sans temps. »



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Vito Apuleo, Nelle incisioni malinconia, 
in «Il Messaggero», Roma, 28 maggio 1990. 

Italiano ormai di adozione, il suo è stato da allora un incontro costante con la nostra città, nell’incidenza di una espressione figurativa che nell’incisione ha trovato i momenti di più alta espressività.

Schivo e solitario, romanticamente legato a una sensazione della natura vissuta con malinconica tensione, egli ha così attraversato le vicende dell’arte mai lasciandosi distogliere da mode o tendenze. E l’acquaforte, nelle sue infinite varianti tecniche, è stata il suo diario e la sua avventura.

Brandelli di paesaggio urbano, relitti, frammenti di un universo di piccole cose lentamente sottolineati là a far emergere un filo d’erba, là ancora i petali di un fiore, hanno animato la sua tematica sull’onda di una emozione che indubbiamente le antiche vie e la solitudine del piccolo borgo etrusco di Formello a mano mano gli hanno suggerito. E quando il colore ha invaso il suo percorso, esso si è espresso con un chiarore profondissimo, quasi materia trasformata da un impulso alchemico.

Segnata da una inquietudine esistenziale, la sua visione dunque si è costantemente arricchita di emozioni creando, come scriveva Roberto Tassi, «una variabilità formale la cui ricchezza è quasi impossibile descrivere».

A ciò si aggiungano però i suoi autoritratti scavati, invecchiati, veri specchi della sua malinconia. Quasi letti cioè in virtù di una forzatura capace di superare il torbido fluire del presente, nel desiderio di inventare un immagine e una emozione sostitutive dell’immagine stessa. 



Vito Apuleo,
Dans ses gravures, mélancolie
dans «Il Messaggero», Rome, 28 mai 1990

« Il est devenu romain d’adoption, à partir d’une rencontre quotidienne avec notre ville, sous la forme d’une expression figurative qui a trouvé ces moments de plus haute expressivité dans la gravure. Réservé et solitaire, lié romantiquement à une sensation de la nature vécue avec une tension mélancolique, il a ainsi traversé l’art contemporain, ne se laissant jamais influencer par les modes et les tendances. Et le burin et l’eau-forte, dans ses variations techniques infinies, ont été le journal et les témoins de son aventure. 

Les bribes de paysages urbains, restes, fragments d’un univers de petites choses, lentement soulignées pour faire émerger un brin d’herbe, les pétales d’une fleur, ont animé sa thématique sur la vague d’une émotion qu’indubitablement la vie à l’ancienne et la solitude du petit bourg étrusque de Formello ont petit à petit suggéré. 

Et quand la couleur s’est installée dans son parcours, elle s’est exprimée avec une clarté profonde, une matière comme transformée par une impulsion alchimique. Marquée par une inquiétude existentielle, sa vision s’est donc constamment enrichie d’émotions, créant, comme l’écrivait Roberto Tassi, « une variation formelle dont la richesse est presque impossible à décrire ». A cela s’ajoutent ces autoportraits creusés, vieillis, de vrais miroirs de sa mélancolie.  Le tout vu par une force capable de dépasser le flux trouble du présent, dans le désir d’inventer une émotion se substituant à l’image même. »


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Vito Apuleo, Paesaggi e ombre lunghe in un crepuscolo di luce,  in «Il Messaggero», Roma, 21 ottobre 1991).

“Scomparso tragicamente nel maggio dello scorso anno, Jean-Pierre Velly viene ricordato con una scelta raccolta delle sue opere … Sono incisioni, acquarelli, dipinti ad olio che attraversano la vicenda dell’artista, offrono l’immagine della sua personalità. E ciò ottengono confermando l’incidenza di una visione che somma alla tensione emozionale la costante di una profonda inquietudine esistenziale. Tornano cosi i suoi paesaggi romantici calati in crepuscolo luminoso nei cui interspazi le ombre lunghe delineano contorni fantasmatici. Si definiscono i misteriosi equilibri che sorreggono la delicata calligrafia dei suoi fiori avvolti da una tenerezza che sembra voler bloccare un qualcosa destinato inevitabilmente a scomparire mentre il colore si addensa di infinita lontananza e di remota felicità.

Si circonda di cupi paesaggi la convulsa tensione di un’opera come «La burrasca», del 1990: specchio di una attrazione ripulsa per la terribilità della natura. Su tutto poi domina la forza magistrale di quel segno che nell’acquaforte trova il punto più alto di espressività, segnando l’insieme di un silenzio sospeso sopra il fluire della vita”. 





Vito Apuleo, Paysages et ombres dans un crépuscule de lumière, dans «Il Messaggero», Rome, 21 octobre 1991

« Disparu tragiquement l’année dernière, on se souviendra longtemps de Jean-Pierre Velly […] Les gravures, aquarelles, peintures à l’huile qui parcourent la carrière de l’artiste, donnent une idée de sa personnalité. Une vision qui ajoute à la tension émotionnelle, la constance d’une profonde inquiétude existentielle. Ainsi ses paysages romantiques plantés dans un crépuscule lumineux sont parfois interrompus d’ombres allongées dessinant des contours fantomatiques. De mystérieux équilibres se forment que décrit la délicate calligraphie de ses fleurs, enveloppées par une tendresse qui semble vouloir suspendre quelque chose d’inéluctablement destiné à disparaître. Tandis que la couleur se densifie d’une infinie distance et semble évoquer un bonheur passé, d’inquiétants paysages sont saturés d’une tension convulsée. La Bourrasque de 1990 est un miroir d’une attraction fatale, repoussée par l’aspect terrible de la nature. Rien ne peut dominer la force magistrale de ce signe, qui dans l’eau-forte et le burin atteint un sommet d’expressivité, baignant l’ensemble dans un silence suspendu au-dessus du flux de la vie. »




L’Accademia di Francia ricorda Pierre Velly (sic)

di Vito Apuleo

Curata da Jean-Marie Drot e da Giuliano De Marsanich viene proposta una retrospettiva di Jean-Pierre Velly. Torna così in quell’Accademia di Francia che dal 1967 al 1970 lo ebbe borsista, l’opera di questo straordinaria artista la cui fantasia ha sempre scandagliato un mondo in bilico tra inquietudine visionaria e la romantica malinconia. La lezione di Dürer, un certo goticismo nordico, la luce avvolge di lampi sulfurei i suoi paesaggi sono, infatti, le componenti che confermano il temperamento di Velly. Ciò all’interno di un percorso narrativo che tenta di toccare le infinite corde del sentimento. Da qui le sue incisioni rese sensibile attraverso immagini dove tutto è spasimo e lacerazione; le vedute della campagna laziale con il cielo alto sulla linea dell’orizzonte che un’improvvisa brace di tramonto avvolge di un’atmosfera che sembra voler superare le barriere del sensibile; le sue “nature morte” in cui il fiore vive il miracolo dell’istante prima che lo scorrere delle ore possa farlo appassire. E poi gli autoritratti. Vale a dire gli eccessi di una tensione caratteriale che vede gli occhi ardere come asole di luce spalancate sulla realtà. Quasi a voler dire: badate che basta una minima scossa perché i misteriosi equilibri della natura vengano sconvolti. Presagio di quella scossa che lo ha visto tre anni fa trascinato tragicamente nel fondo delle acque del lago di Bracciano; aveva appena 47 anni.

Viale Trinità dei Monti 1, fino al 28 novembre.Alchimie.htmlGalleria_don_Quichotte.htmlBestiaire_perdu.htmlLa_Gravure-_Incisione.htmlPraz_ITAL.htmlAlchimie.htmlBestiaire_perdu.htmlLa_Gravure-_Incisione.htmlPraz_FRA.htmlvases_de_fleurs.htmlvases_de_fleurs.htmlvito_apuleo_malinconia.htmlvito_apuleo_malinconia.htmlTassi_1989_ital.htmlTassi_1989_fra.htmlLa_Gravure_details_1.htmlGallery.htmlpaysages.htmlvases_de_fleurs.htmlpaysages.htmlDROT_SUR_VELLY_ITAL.htmlGalleria_don_Quichotte.htmlAlbrecht_Durer.htmlMaria_Lombardi.htmlMaria_Lombardi.htmlshapeimage_2_link_0shapeimage_2_link_1shapeimage_2_link_2shapeimage_2_link_3shapeimage_2_link_4shapeimage_2_link_5shapeimage_2_link_6shapeimage_2_link_7shapeimage_2_link_8shapeimage_2_link_9shapeimage_2_link_10shapeimage_2_link_11shapeimage_2_link_12shapeimage_2_link_13shapeimage_2_link_14shapeimage_2_link_15shapeimage_2_link_16shapeimage_2_link_17shapeimage_2_link_18shapeimage_2_link_19shapeimage_2_link_20shapeimage_2_link_21shapeimage_2_link_22shapeimage_2_link_23shapeimage_2_link_24


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