leggere il testo di Maxime Préaud
del Gabinetto delle Stampe della Biblioteca Nazionale di Francia
Le Melanconie di Jean-Pierre Velly
alla Fondazione Il Bisonte di Firenze
La Fondazione Il Bisonte presenta una mostra di incisioni dell’artista francese Jean-Pierre Velly (1943-1990) con titolo: Le Melanconie di Jean-Pierre Velly. Saranno visibili 37 incisioni radunate in cinque temi che consentiranno a pubblico di avere una visione globale dell’opera incisa. Il titolo della mostra sottolinea la malinconia fondamentale e costante dell’artista attraverso le sue opere.
La mostra è stata aperta al pubblico dal 19 aprile al 25 maggio 2007
con orario 9-13 / 15 - 19, sabato 16-19
chiuso domenica, il 25, 30 aprile e 1° maggio.
Il catalogo (18 x 24 cm; 80 pagine; 35 riproduzioni, testi in italiano e francese), con un saggio introduttivo del prof. Maxime Préaud, curatore del Gabinetto delle Stampe della Biblioteca Nazionale di Francia, Parigi sull’influenza dei maestri antichi sull’artista (leggere il saggio “un cane che sognecchia”). Segue una presentazione dei curatori sulle scelte tematiche dell’opera incisa.
Nota biografica. Nato a Audierne nel Finis Terrae della Bretagna, Velly ha dapprima frequentato la Scuola di Belle Arti di Tolone e la Scuola Nazionale Superiore di Parigi. Nel giugno del 1966 riceve il Premier Grand Prix de Rome per l’incisione e, inseguito, prese parte insieme ad altri premiati ai lavori all’Accademia di Francia di Villa Medici, allora guidata dal leggendario pittore Balthus. Nel 1970, dopo il soggiorno di tre anni, si trasferisce a Formello, un antico borgo medievale nella campagna romana. Ci ha vissuto e lavorato fino al 1990 quando scompare improvvisamente nel lago di Bracciano.
(per saperne di più...)
Velly fin dall’inizio della sua attività si è dedicato prevalentemente all’incisione, scegliendo fra le varie tecniche quelle calcografiche (soprattutto bulino, acquaforte e puntasecca), affascinato dalle possibilità di linguaggio che offrivano e interessato ad indagare le possibilità chiaroscurali di quelle tecniche. Scelse fin dall’inizio solo il bianco e nero disdegnando di eseguire opere a colori. Nelle sue incisioni il tratto si addensa in neri profondi per vibrare nella molteplice gamma dei grigi ed aprirsi nei bagliori dei bianchi creando quell’atmosfera intima e suggestiva che è tipica delle sue composizioni. Del resto, le incisioni di Jean-Pierre Velly sono sempre caratterizzate dall’uso di una tecnica raffinata; dalla punta del suo bulino prendono vita i più piccoli e precisi dettagli che popolano con sapienza calibrata lo spazio definito delle sue composizioni, quasi a testimoniare un’antica minuzia di sapore fiammingo.
Infatti, alla base della creatività di Jean-Pierre Velly si avverte una sensibilità di origine nordica che affonda le sue radici nella tradizione fantastica e si ricollega ai maggiori artisti del passato medievale e del tardo manierismo, da Schongauer, Durer, Bosch, Altdorfer, Cranach a Brueghel e al paesaggista olandese Hercules Seghers, a Rembrandt fino ad arrivare al mondo visionario dell’artista romantico Rodolphe Bresdin, a Max Ernst e agli artisti dell’espressionismo tedesco.
Ciò che caratterizza in genere le incisioni di Jean-Pierre Velly è l’aspetto fantastico, che si esprime attraverso la visione di paesaggi in cui l’occhio dell’osservatore si perde ad inseguire le linee dell’orizzonte, distese di rocce e vegetazione che si confondono con ammassi di rifiuti e di rottami, figure di uomini e donne trasfigurati dal tempo, corpi lacerati, volti scolpiti dai ricordi, visioni apocalittiche in cui si compenetrano e si amalgamano elementi di varia natura.
Velly libera così la propria fantasia, creando uno spazio irreale, ma anche intensamente spirituale, incidendo paesaggi trasfigurati, nei quali, trovano posto la grandiosità della vita e della morte e l’enigma dell’essere; in essi le forze della natura si mescolano in una fusione cosmica continua che ingloba anche il più piccolo angolo del cosmo, il più piccolo granello di materia. In questo senso si può parlare anche di religiosità, senza doversi necessariamente ricollegare ad una fede esistente; religiosità, quindi, come espressione di un limite alla comprensione umana del mistero dell’esistenza, quasi una contemplazione di fronte al creato.
Visione malinconica con un senso di religiosità a cui si unisce forse una sottile ironia che vuole sottolineare la sciocca presunzione dell’uomo convinto della propria superiorità su tutti gli esseri viventi, padrone assoluto della vita sulla terra; un avvertimento insomma alla vanitas umana e all’inutilità delle scelte di alcuni valori di vita, che sono in realtà solo gioie effimere di breve durata. La sensibilità e la grandezza di Velly stanno proprio nella capacità di cogliere l’attimo che intercorre tra la vita e la morte, di imprigionare in un’immagine tutto ciò che il tempo trasforma, anche il più piccolo granello di materia, come del resto l’uomo stesso che è un minuscolo punto nell’orizzonte infinito dell’universo.
Ivana Rossi
Geniale vittima di un malinconico Saturno, Velly, caduto in una trappola mortale a solo 46 anni, ci lascia 100 incisioni e circa 300 opere singole.
Questa mostra introduttiva offre un saggio più che generoso della statura di questo artista.
Hanno scritto su di lui importanti critici italiani e francesi, tra gli altri Vittorio Sgarbi, Alberto Moravia, Roberto Tassi, Giorgio Soavi, Jean Leymarie, Jean-Marie Drot, Giuseppe Appella, Mario Praz, Maxime Préaud, Bruno Racine, Silvia dell’Orso, Marisa Volpi.
saggi e testi di presentazione di vari autori su Jean-Pierre Velly
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Bibliografia