“ … Velly quasi si dimentica del mondo moderno d’intendere codesta tecnica e sembra volgersi al lontano passato, alla ricerca di un romanticismo quasi materico, nel quale le stelle e la via Lattea si determinano come sostanze corpose che si depositano sulla carta e non come immagini.
… In realtà nei fiori si sente la drammaticità di un’esistenza accelerata, di una vita corporea che si sfalda ed appassisce con quello che comporta di disfacimento del colore.
Allora si percepisce chiaramente che Velly ha raccordato l’esistenza minima, fugace e caduca dei fiori entro il più vasto compasso dell’esistenza dell’universo contro cui si stagliano.”
Enzo Bilardello, Gli acquerelli di Velly,
in «Corriere della Sera», Milano, 9 aprile 1984.
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Tempeste in un bicchiere d’acqua si potrebbero chiamare i suoi acquerelli e dipinti, ma non con valore diminutivo, quanto per mettere in risalto la concezione lirica dei modesti fiori annichiliti, più che dal repentino decadimento, dal peso della straripante natura che mette in atto una grandiosa trasmutazione alchemica: un piccolo angolo domestico viene risucchiato in una dimensione eroica.
Enzo Bilardello, a cura di, Preziose malinconie di Velly,
in «Corriere della Sera», Milano, 21 aprile 1986).
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Jean-Pierre Velly
La Galleria Don Chisciotte festeggia 25 anni di attività con la mostra del suo artista più rappresentativo negli ultimi anni. La mostra precedente di Velly aveva impressionato tutti per l’intensità e la compattezza di un universo paesaggistico obiettivo eppure interiorizzato. In un certo senso il pittore si misurava con la storia e si erano fatti i nomi di Friedrich, della Scuola Danubiana del 500. Questa mostra è più antologica. Incontriamo qualche paesaggio, dei nudi femminili, degli autoritratti e dei nodosi e contorti tronchi pensati come ritratti sui generis. In un certo senso Velly ha voluto fornirci una panoramica dei suoi talenti di disegnatore e di pittore, mettendo con forza l’accento sugli autoritratti. Questi sono estremamente risentiti, con pieghe amare sulle labbra e linee spezzate, per esempio i capelli ispidi come fili di ferro, che interpongono una distanza incolmabile tra spettatore e personaggio. Sembrano quasi dei ritratti ideali di Farinata: “com’avesse l’inferno in gran dispetto”. Nell’autoritratto con l’orologio, inconsciamente parafrasa la versione di Munch che ostenta il braccio scheletrico. Le accademie di nudo vogliono essere una riconciliazione con la vita e il suo fluire. Le figure sono studiate, chiaroscurate, accarezzate dalla matita con un’attenzione professionale impeccabile e il nudo resta tale; uno snodarsi di muscoli, polpa, e struttura ossea senza invitare ad un’indebita sensualità. Più poetici, perché naturalmente meno programmatici, i paesaggi e soprattutto lo studio del tronco. Una vitalità aspra erompe dalle linee e attanaglia lo spettatore.
(Galleria Don Chisciotte via A. Brunetti 21/A).
Mostre, Corriere della Sera, 18 aprile 1988
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“Come artista Velly aveva portato una folata d’aria controcorrente, cercando non tanto di mimetizzarsi entro uno stile storico, ubbidendo alla corrente che vien chiamata colta o anacronista, quanto di risalire il corso della grande arte germanica contaminando Dürer con Friedrich, Grünewald con Runge, rinnovandone lo spirito, l’afflato poetico, curando che l’esattezza di un esecuzione di maniacale perfezione non soffocasse la forza, l’empito di una virile poesia, ora elegiaca, ora tragica”’.
Enzo Bilardello, In memoria di Jean-Pierre Velly, in «Corriere della Sera», Milano, 16 giugno 1990
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“Motivo di ciò è il sentimento panico della natura che soggiogava e forse atterriva il pittore. Egli vedeva la natura come configurazione di colori e le azioni umane come cozzo e annullamento di volontà. Nel «Massacro degli innocenti» un brulichio di figure si stempera in un largo paesaggio. Spesso, un nudo femminile alle proporzioni e di opulenza tardo rinascimentale si specchia in un caos che comprende le macchine, la città, la natura.
In «Tramonto», il bagliore di luce che, pulsando, tiene rilegati cielo e terra, ha la forza fecondatrice della linea a spirale con la quale Claude Mellan fissò il volto di Cristo: un exploit tecnico vertiginoso.
Altrove le nodosità, le ramificazioni di un tronco sono analiticamente ripercorse come metafora del rovello dell’artista, del suo tormento di rendere con chiarezza strutture d’inestricabile complessità.
I colori umbratili e le ore del giorno contrastano singolarmente con i fiori appassiti, con le forme dure e spigolose, il disegnatore epico e drammatico alla fine della giornata di lavoro inclina verso la malinconia e il lirismo”.
Enzo Bilardello, Dagli antichi nascono le incisioni di Velly,
in «Corriere della Sera», Milano, 29 ottobre 1991.