Velly     Paolo Ricci  (1971)
 
 



“ II motivo che ricorre con più insistenza nell’opera di Jean-Pierre Velly  è la natura vista come dopo una catastrofe biblica (o atomica): un immane e disordinato ammasso di personaggi colti in atteggiamenti e nei gesti banali di ogni giorno, mescolati, in modo inateso ed assolutamente imprevedibile, a strutture contorte, a ingranaggi meccanici, a oggetti e strumenti della più dimessa e sordida quotidianità, impastati tra loro e in via di decomposizione, come in un mondo sconvolto, appunto, da un evento apocalittico. Queste immagini non hanno nulla di didascalico o di moralistico, sono, per così dire, «innocenti», evocate come per caso o per gioco, il che rende più crudele e sinistro il loro significato ammonitorio.


In questo gioco apparentemente gratuito si inseriscono elementi di bruciante attualità: simboli e metafore inerenti il mondo contemporaneo, la condizione dell’uomo nella società dei consumi (il suo corpo va in putrefazione insieme agli oggetti che la società consumistica gli impone), l’idolatria della macchina e della velocità, il genocidio e la violenza distruttrice. Lo stesso corpo umano è visto come un congegno, degradato a strumento meccanico, che si può scomporre e ricomporre come un motore.


La cultura figurativa di Velly non ha nulla di archeologico, di accademico, è invece profondamente radicata nelle esperienze più valide dell’arte moderna: Dada, il Surrealismo, la simultaneità futurista e anche il cinema.


Tutte queste indicazioni non devono trarre in inganno: le sue opere dimostrano come egli operi sempre in piena libertà ed autonomia, componendo, in una sintesi superiore, varie e contrastanti esperienze dell’arte antica e moderna, esaltandole e superandole”.

 

Paolo Ricci


Jean-Pierre Velly, introduzione del catalogo della Galleria San Carlo, Napoli, anche pubblicato in “l’Unità”, 3 gennaio 1971.

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