Velly Ghedin Restaurare le matrice
Velly Ghedin Restaurare le matrice
Restaurare le matrici di Jean-Pierre Velly:
un lavoro condiviso con gli studenti dell’Accademia di belle arti di Roma
Lucia Ghedin
Il progetto congiunto tra Istituto Centrale per la Grafica e Accademia di belle arti di Roma riguardante l’opera di Jean-Pierre Velly ha visto coinvolto anche il Laboratorio diagnostico per le matrici dell’ICG, ovvero il luogo deputato allo studio, al restauro e alla conservazione della materia di cui sono fatte le forme da stampa. Per studio della materia non si vuole intendere solo la “essenza” del materiale impiegato, ma anche la sua parziale “assenza” laddove il segno è incavato, ovvero la tecnica d’incisione. Le dieci matrici di rame che vengono esposte in mostra sono state dunque oggetto di trattamenti di restauro e conservazione atti al recupero del materiale di supporto, ma sono state anche osservate nella loro qualità tecnica, entrando così nello specifico del metodo incisorio impiegato da Velly. Il Laboratorio intreccia ormai da anni questi due percorsi di studio (Trassari 2004) che, in questa occasione, sono stati combinati con l’attività didattica, organizzando un seminario intensivo per un gruppo selezionato di studenti dell’Accademia di belle arti di Roma.
Per comprendere lo stato di conservazione delle matrici di Velly, non si è potuto fare a meno di spiegare come si ottiene e si lavora un metallo. Forse sarebbe piaciuto anche all’incisore francese ripercorrere nella teoria quei processi tecnologici, quasi alchemici, che portano alla metamorfosi (tema a lui tanto caro) dei minerali metalliferi in un oggetto metallico, ma anche comprenderne il processo inverso. Il concetto fondamentale di tale mutamento a doppio senso è che l’uomo, sfruttando processi piro-tecnologici, trasforma la materia prima per creare ciò che in natura non esiste, come appunto avviene con la maggior parte dei metalli di uso comune, quali argento, rame, ferro, zinco o alluminio. Tuttavia, siccome la materia tende a esistere in equilibrio con l’ambiente circostante in uno stato che implica il minor dispendio di energia possibile, e siccome i metalli che esistono come tali in natura sono solo l’oro e il platino, è facile comprendere che tutti quelli estratti dai minerali tenderanno a tornare a essere una materia più stabile. I metalli meno nobili reagiranno dunque più o meno velocemente con ciò che li circonda e si trasformeranno in prodotti di corrosione che non sono altro che ossidi, carbonati, solfuri, solfati oppure cloruri, ovvero i minerali utilizzati nei processi metallurgici. Si spiega così come anche il rame utilizzato dall’incisore sia andato incontro a processi di degrado, scurendosi superficialmente a contatto con l’ossigeno e macchiandosi a causa o del contatto con le dita di chi ha toccato le matrici (fig. 1), o degli schizzi di una sostanza liquida che ha indotto, in un caso particolare (Rosa au soleil, cat. 12), anche la formazione di carbonato di rame verde (malachite), ossido di rame rosso (cuprite) e probabilmente cloruro di rame verde chiaro (atacamite o paratacamite) (fig. 2). Tale processo è irreversibile: laddove la corrosione è più evidente, il metallo si trasforma localmente
in un composto, un ossido o un sale, che può e deve essere eliminato, lasciando però un vuoto, un cratere, piccolo o grande a secondo dello stato di avanzamento della corrosione. La superficie incisa perde così, nei casi più gravi, non solo la lucentezza, ma anche la levigatezza, acquisendo una rugosità che, nell’eseguire una stampa, tratterrebbe inchiostro restituendolo al foglio di carta come una macchia indesiderata (cfr. fig. 2).
L’inchiostro e la sua rimozione è l’altra problematica affrontata nel restauro delle matrici di Velly. Come è comune notare sulle lastre calcografiche tirate, l’inchiostro non viene quasi mai rimosso a fondo né dai segni incisi né dalla superficie del verso delle lastre. Ne consegue che, se da una parte la figurazione incisa, colma di materiale nero, risulta più evidente, dall’altra la morfologia dell’incavo viene nascosta all’occhio che quindi non riesce inequivocabilmente a distinguere se il solco è stato corroso dall’acido di morsura, né a capire la tipologia di acido, oppure se è stato scavato direttamente con il bulino o la puntasecca (fig. 3). 2. Rosa au soleil, 1968, particolare di parte superiore della matrice prima e dopo il restauro. Si osservano formazioni miste con ossido e carbonato di rame e probabile presenza di cloruri di rame. La morfologia della concrezione lascia pensare che si sia trattato di una goccia di liquido che, colando sul metallo, ha alterato profondamente la superficie. Nel particolare dopo il restauro è evidente come l’eliminazione dei prodotti di corrosione abbia lasciato i suoi effetti sul rame, ormai irrimediabilmente segnato dalla corrosione.
La soluzione alle problematiche esposte era già stata trovata in passato. La lettura dei manuali antichi di tecnica d’incisione è stata la fonte d’informazioni; oggi siamo in grado di effettuare il restauro conservativo delle matrici calcografiche, reinterpretando le ricette empiriche descritte e sostituendole con soluzioni acquose di prodotti chimici altrettanto efficaci, ma poco aggressivi sia nei confronti del metallo che dell’operatore (Ghedin 2010). Una volta terminati i trattamenti di pulitura, è stato finalmente possibile apprezzare appieno l’universo figurativo di Velly fin nei minimi dettagli. Grazie alle strumentazioni del Laboratorio, gli studenti hanno osservato ingranditi i segni che l’artista ha tracciato sulle lastre. Il suo modus operandi è chiaro: una volta eseguito il trasporto dell’immagine a partire da un “cartone preparatorio” (cfr. cat 7.b), comincia il lavoro incisorio. Nel caso della Vieille femme (cat. 7) tutta la figurazione è affidata all’uso sapiente e meticoloso del bulino, senza lasciare al caso neanche il puntinato eseguito con il becco dello strumento. Ne Le massacre des innocents (cat. 16) oppure in N’amassez pas les trésors (cat. 20), o in Un point, c’est tout (cat. 21), la fitta figurazione è improntata all’acquaforte e la morsura è affidata al percloruro di ferro (cfr. l’intervista a Vinicio Prizia in catalogo), che genera un incavo tondeggiante, liscio e uniforme. Il chiaroscuro e i volumi vengono per lo più affidati alle ombreggiature parallele eseguite a bulino (cfr. fig. 3), strumento col quale delinea anche alcune aggiunte o modifiche dell’inciso.
A queste ultime corrispondono sul verso, in qualche caso, delle ribattitture a punzone, necessarie per ripristinare la planarità della superficie del recto abbassata col raschietto e lisciata col brunitoio.
Nella composizione Valse lente pour l’Anaon (cat. 9), le modifiche apportate a testa,spalla, gamba e piedi del personaggio di sinistra sulla matrice centrale hanno comportato l’eliminazione completa dell’inciso precedente; dopo aver abbassato la superficie metallica in quelle aree con raschietto e brunitoio, Velly ha nuovamente delineato la figurazione, ma questa volta con un’incisione all’acquaforte. Il bulino in questa opera marca alcuni profili e determina alcune ombre più o meno profonde, mentre altri passaggi tonali sono affidati alla puntasecca – fronda 3. Un point, c’est tout, 1978, particolare della parte destra prima e dopo il restauro. Dalla immagine eseguita prima della pulitura non è sempre possibile individuare la tecnica d’esecuzione dei segni incisi. Dopo la pulitura è assolutamente evidente l’abbondanza dei segni a sezione triangolare eseguiti col bulino nella zona centrale – o a un puntinato ottenuto colpendo la superficie con un punzone. Altro è il procedimento per Fleurs d’hiver (cat. 26), dove la tecnica della maniera nera porta Velly a cavare figurazione e luci abbassando o eliminando la fitta granitura della preparazione a berceau, agendo col brunitoio sul rame granito come se disegnasse col gessetto bianco su un cartoncino nero. Aggiunge poi alcuni particolari con altri interventi diretti: mentre i ramoscelli in primo piano e altri dettagli sono eseguiti col bulino, per riuscire invece a far brillare le stelle del cielo notturno si serve di uno stratagemma. Il loro chiarore era già stato definito con il brunitoio sul recto della matrice, ma non era ancora sufficiente a rendere la luminosità desiderata dall’incisore, il quale riporta sul verso con un compasso di riscontro i punti esatti corrispondenti alle stelle, e lì batte con un cesello a punta stondata (fig. 4). Il risultato in stampa è un punto di massima luce contro il vellutato nero del cielo.
Infine, Rosa au soleil (cat. 12) è impostata su due registri distinti sia dal punto di vista figurativo che dal punto di vista tecnico. Mentre la parte alta è prevalentemente eseguita ad acquaforte, il corpo di Rosa è completamente inciso a bulino, seguendo le deboli ma persistenti linee del riporto grafico, tracciate con la puntasecca.
È stato difficile staccare gli occhi avidi degli studenti dalle strumentazioni ottiche e interrompere la visione della miriade di segni e dettagli, le mille soluzioni grafiche dell’artista bretone. Tant’è, bisognava procedere alle ultime fasi del restauro, ovvero i trattamenti più prettamente conservativi di protezione finale delle superfici, in modo da preservarle dal contatto con l’ambiente esterno.
Chissà, se fosse stato presente Velly probabilmente non avrebbe approvato tutto questo “indaffararsi” nel tentativo di andare contro il normale e fatale decadimento della materia.