Dario Micacchi, L’apocalisse secondo Velly,
in “l’Unità”. Roma, 25 marzo 1971
“Velly è un grande malinconico e alla malinconia dà la durezza del minerale, la esattezza del solido geometrico. Riesce a equilibrare la tensione vitale e tragica nell’immagine come fosse un tessuto”
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Dario Micacchi, Jean-Pierre Velly e la città che scoppia,
in «l’Unità», Roma, 12 giugno 1974).
“L’incisore francese Jean-Pierre Velly fu una rivelazione, a Roma, in questa stessa galleria, dove una serie di stampe il cui tema ricorrente era quello della caduta e della dissoluzione di un mondo disumano e violento, popolatissimo di oggetti di consumo. Altro tema era quello del Massacro degli Innocenti. Questi due temi ritornano, in una ventina di nuovi fogli, nella mostra attuale arricchiti e approfonditi nella visione e nella tecnica. Velly, in quanto incisore, è artista completo e riesce a esprimersi pienamente.
Ama il molto piccolo figurativo: in un foglio di pochi centimetri quadrati possono esserci decine o centinaia di figure. Naturalista ossessivo nei particolari, è uno straordinario artista del montaggio dell’immagine. Le immagini di caduta sono anche immagini di una megalopoli che scoppia come un cuore che non ce la fa più. Le immagini di massacri di popoli sono inondate di una luce strana che tutto rende visibile, anche fatti e cose da microscopio.
La tecnica di queste incisioni è assai lenta e elaborata, stadio per stadio, in crescita con la crescita dei pensieri e degli incubi sociali e morali. Ma Velly domina la tecnica con naturalezza e anche le visioni più fantastiche le fa apparire come organismi concreti. Non produce molte incisioni (è già in Italia dal ‘67 ed avrà fatto 90 lastre) ma si concentra intensamente nella singola immagine. I suoi maestri antichi e una certa maniera antica al limite dell’inganno ottico-storico è un divagamento da superare - sono Cranach e Dürer; i moderni Ensor e i surrealisti. L’invenzione della luce che inonda la terra è, però, tutta sua.
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Dario Micacchi, Il segno fantastico,
in «l’Unità», Roma, 23 marzo 1977).
“Viaggiatori dell’ombra e dello sguardo” definisce Michel Random, nella sua presentazione, i sei incisori francesi riuniti nella singolare mostra da poco conclusa al «Centro Culturale Francese» di Piazza Navona, a Roma, più per affinità di sensazione che per concordanza di stile in quanto con loro persiste «l’indefinibile attrazione del mistero». «Il reale e l’immaginario, il fantastico e il visionario, e ancora, al di là delle parole, l’indefinibile viaggio delle idee e delle impressioni, del sogno e della sensazione. E ciò che propongono le incisioni, i neri e i bianchi, le ombre e i grigi, in qualche modo la notte e i suoi gradi, di Gerbier, Mockel, Doaré, Rubel, Velly, Le Maréchal».
… Jean-Pierre Velly (Audierne, 1943) vive in Italia, a Formello, ed ha esposto più volte a Roma. E un grande incisore nella materia, nella tecnica e nell’immaginazione. E le sue visioni apocalittiche sono sconvolgenti soprattutto quando, in una visione microscopica come « Massacro degli innocenti», coinvolge popoli interi e il suo segno febbrile e angosciato immagina una geografia del massacro a livello planetario. Anche il disfarsi di un solo corpo nella morte è il momento di una tragedia universale che solo la lenta lettura-visione dell’incisione può scoprire. Luce solare occidua: corpi umani in vortici; frammenti di umane cose galleggianti nella visione sospesa. Il segno fissa un mondo pulviscolare di cose e figure e gesti atomizzati ed è un segno che nella resa del involto piccolo ha una sua follia poetica dell’esattezza, della cosa detta bene e chiaramente pure se è un minimo frammento percettibile nell’alluvione planetaria”.
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Da. Mi. (Dario Micacchi)
Jean-Pierre Velly tra mare e cielo,
in «l’Unità», Roma, 21 marzo 1978
“Velly da Corbière ha ripreso il mare ma ne ha fatto un motivo figurativo assoluto e simbolico. Nel piccolo foglio lo spazio diventa immenso: il mare ha un moto incessante e sembra il moto del pensiero, del sentimento umano. Una luce cosmica meravigliosa che viene da lontananze indicibili accende di colori e di bagliori freddi il moto del mare. Sulla linea dell’orizzonte spesso sta un corpo umano oppure nella luce galleggia un volto. sia il corpo sia il volto sono dipinti con la levità di un alito su una lastra di cristallo e sono forme modellate dalle energie che si muovono fra terra e cosmo.L’immersione della figura umana (c’è qualche autoritratto di Velly) nel cosmo è totale: sostanziata dalla luce che la traversa. Tutto nella visione da lontano, come visto da un telescopio e con immenso stupore. La magia poetica di questi acquarelli sta nella resa umana, psicologica del mare e delle sue immani tensioni soprattutto, nell’immagine della luce.Questa luce è un capolavoro di costruzione, è un flusso omogeneo realizzato per contrasto con la minuta definizione delle forme del mare, delle figure umane, dei vegetali, dei corpi celesti. Il segno di Velly sembra prendere energia nel molto piccolo, nel microcosmo. Le immagini, a prima vista, tra mare e cielo sembrano semplici; ma basta una visione più ravvicinata per rendersi conto dell’intera costruzione, del pulviscolo fantastico di segni che le struttura. La visione è molto naturale ma anche molto costruita. Il cosmo di Velly è calmo, possente, misterioso”.
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Dario Micacchi
Velly o del dolore del mondo
in «l’Unità», Roma, 18 novembre 1981
“Ha un occhio analitico fino al delirio visivo e guidato da pensieri apocalittici. e da una sensibilità amorosa struggente per le cose minime della natura e degli uomini. Come incisore sa tutto ma se ne dimentica. Riesce però, sempre fissando l’orizzonte, a fermare una luce straordinaria, o di alba o di tramonto, che viene impalpabile verso il primo piano e svela massacri, distruzioni, vortici di oggetti consumati e buttati via, orride metamorfosi sui corpi degli uomini, ma anche la serena bellezza d’una figura femminile che sembra reggere se non il mondo certo la vita di tutti i giorni, e fiori e animalucci e pagliuzze.…Ma attenzione, Velly non è il museo dell’eclettismo: è un artista morale di modernità assoluta, ma che vuol mostrare come le sue prefigurazioni apocalittiche abbiano profonde radici nella storia e nella storia della pittura. E da qui nasce la qualità struggente della luce e quel suo segno capace di analizzare il dolore del mondo in un grumo che i più nemmeno vedono”.