Michel Random (1933-2008)
Jean-Pierre Velly
in L'art Visionnaire,
Philippe Lebaud éditeur, Parigi, ottobre 1991
Questo libro è dedicato a Jean-Pierre Velly che sapeva del fiore alla stella creare / un’unica visione/che incarnava fino al tragico / la bellezza infinita / diventato / l’ Oceano
L’immaginazione somiglia al fatum nascosto dentro di noi; sollecitarlo, sarebbe rischiare di vedere prima di capire. Ci manda segnali, e se sappiamo leggerli, possiamo capire a che punto c’entrano. In questo senso, l’opera e la vita di Jean-Pierre Velly ne è un esempio tragico.
Il 26 maggio 1990, Jean-Pierre Velly assieme al figlio Arthur girano in catamarano sul lago di Bracciano, vicino Roma. E all’improvviso, la sciagura: un colpo di vento, una grossa onda e Velly, squilibrato, cade testa in giù nelle acque gelide del lago e affonda. Shoc termico, vestiti invernali...Velly scompare così, succhiato dalle acque nel vuoto. Non si ritroverà mai la sua spoglia malgrado quindici giorni di intense ricerche con mezzi tecnici impressionanti.
Premonizioni? Velly diceva sempre che il becchino non avrebbe mai toccato il suo corpo. Era troppo curioso della morte - che accenna spessissimo nelle sue incisioni - per acconsentire al conformismo di un funerale. Si era immerso nell’oscura notte degli elementi che aveva intensamente dipinto e amato durante il corso della sua vita, attentissimo alla tenerezza, alla metamorfosi, talvolta alla crudeltà delle cose.
Morto a 47 anni, Jean-Pierre lascia un’opera paragonabile a quella dei grandi Maestri della storia dell’arte. La sua statura, la perfezione della sua arte, il carisma magico della sua persona non finiranno mai di crescere.
Nato nel 1943 a Audierne in Bretagna, Velly andrà a vivere in un piccolo paese, Formello, nel cuore della campagna etrusca, a 25 km di Roma. Il radicarsi di una natura bretone, robuste e tenace, come le nodose querce che disegnava, in una terra dove il sole rimane profondamente impregnato dalla presenza degli indomabili e misteriosi Etruschi.Gran Premio Roma a 23 anni, Velly scelse di vivere in Italia, vicino Roma, nell’intensità della luce e della natura.
«L’incisione, diceva, è l’espressione di questo fascino del bianco e del nero, dell’incidere a bulino e all’acquaforte. Il bianco è la somma di tutti i colori, il nero né è la negazione. Ho impiegato la grande povertà di questo vocabolario iniziale a una estrema complessità del linguaggio.”
Questo linguaggio, quello dell’infinità varietà dei neri, bianchi e grigi, maneggiati con la scienza e un arte degna dei più grandi Maestri, Velly l’impiega al servizio di una nuova visione: la mutazione dell’umano e della natura nel meccanico, dell’organico all’astrazione tecnologica. Questo terrificante mutamento dei tempi nostri prefigura un mondo apocalittico di detriti della civiltà moderna, dalle lattine ai tubi, che Velly descrive per anni con aspro umorismo. Man mano, quello che rimane di umano su questo pianeta si amalgama in un grande vortice di detriti che invade cielo e terra. La visione di questi umani diventati irrisori pupazzi, strane forme prolungate da innumerevoli artifici, si sta verificando nella nostra triste realtà. L’Arte visionaria di Velly è qui profetica. La distruzione planetaria, questo mondo rifiuto che descriveva così minuziosamente, diventa ogni giorno una realtà palese.
Il capolavoro di Jean-Pierre rimarrà “La strage degli Innocenti” (1970-1971), un’ incisione che mise più di un anno a rifinire, lavorandoci dieci ore al dì. Raffigura una innumerevole folla in fuga sino all’orizzonte senza sapere dove andare, in un’ondata disorganizzata. Jean-Pierre ha descritto con precisione ogni personaggio tranne migliaia, col suo movimento particolare e il suo atteggiamento specifico. Da lontano, questa folla si confonde nell’uniformità dei grigi; da vicino, ogni personaggio è un essere unico.
Ogni tanto però, si da tregua e affronta un sogno rinfrescante. Un’ angelo appare, stende le ali, sembra addormentato; una terra incontaminata, semplice e reale, è stesa dietro; gli alberi, i fiori e le erbe rimangono i nostri amici odierni. Il paradiso terrestre esiste, e come, è questa nostra Terre fresca e carnale.
Il Sogno, quello di l’Angelo e Sindone (1973) ci offre l’immagine della terra che si stende come un’onda smisurata. Sdraiato nel sogno stesso, ecco l’uomo che se ritrova figlio del cielo. Ecco les Templi della Notte (1979) che riallaccia l’uomo al cosmo, e suggerisce un aldilà premonitore della vita e della morte.
Ma, verso il 1978, Velly slitta progressivamente dall’incisione verso l’acquerello e la pittura. È il compimento di una maturità che, dopo aver stesi i segni della visione, ne scopre l’indicibile illuminazione. Una luce - che è solo sua - appare, una luce oscura tralasciata dalle tenebre prime, una aura luminosa, dove ogni fotone è fuoriuscito da un grano di notte sino all’abbagliamento diffuso e intimo dell’anima.
È successo un straordinario mutamento in lui, visibile in due autoritratti, l’uno del 1985, l’altro del 1987. Quello del 1985 è bello, severo, ma di une rigore calmo e quasi classico; quello del 1987 svela un uomo al viso scoperto, sovrano in uno sguardo intenso, di una presenza inaudita. È il viso di un uomo nato aldilà della sofferenza, che ha assunto con grandezza e sfida tutta la tragicità della condizione umana.
I due autoritratti a matita simboleggiano il grande passaggio, quello del compimento e la pienezza dell’essere che trasparisce nell’opera. L’ineguagliabile assoluto si manifesta nella perfezione di una semplicità scarna totale.
La realtà tralascia la sua potenza fisica e metafisica. È qua, questo reale, che ci circonda con miriadi di angeli, di meraviglie, di orrori o di demoni. Ma qui l’occhio e la visione sono il proprio dell’uomo e del genio. L’occhio che vede, ausculta, spoglia e ricrea; in questo, l’atto creatore diventa la più commovente imitazione della Creazione divina.
Infatti, non si finirebbe mai di descrivere i quadri e acquerelli di Velly, dove la sobrietà estrema del soggetto e dei mezzi, il mare, l’onda, il cielo, un mazzo di fiore, i petali delle capoccie, alcuni fiori appassiti, un teschio animale, delle erbe, la nuvola, la luna, il sole, ci immerge nella più pura e la più conturbante bellezza. Perché, in natura come nella visione, tutto è indissolubilmente legato, la forma si scioglie nella luce e nella notte, il colore scoppia nella sua sobria e interiore vibrazione. E questa vibrazione luminosa del paesaggio è come la suggestione di questi numerosi e sontuosi veli che nascondono le indicibili lumi del mondo spirituale.
Michel Random, l’Art visionnaire, pp. 109-111, Ed. Philippe Lebaud, 1991