Leonardo Sciascia
Velly pour Corbière
Galleria Don Chisciotte, 1978 (catalogo).
“Un libro pubblicato lo scorso anno a Ginevra e che si può considerare esaustivo riguardo alla questione, da tanti stendhaliani & stendhalisti agitata, se Stendhal davvero amava la pittura, se davvero la capiva (Philippe Berthier, Stendhal et ses peintres italiens ), è dedicato dall’autore a Jean-Pierre Velly, «en souvenir de nos promenades dans Rome».
Questa dedica assume per me suggestione antica. Velly è nelle sue incisioni (che conosco sin dalla sua prima mostra in Italia), in questi suoi acquarelli, assolutamente «nordico». E credo che per lui la cosa più grande di tutta la storia della pittura sia il retablo d’Issenheim del museo di Colmar; ma nelle sue cose trascorre anche un’aria di promenades dans Rome . E non per la presenza, abbastanza frequente, di elementi che sono della città; ma per la presenza, direi, di una nozione del barocco appunto romana, di un barocco che si integra all’apocalittico, alla Apocalisse che costantemente e variamente Velly rappresenta e interpreta, dai rifiuti cittadini alla Valle di Giosafat. Ma questo è soltanto il tema di un discorso che su Velly va fatto, che mi propongo di fare. Intanto, ecco questi acquerelli ispirati dalle poesie di Tristan Corbière, poeta maledetto quanto mai altri e cioè, tra i maledetti, forse il più felice, magari anche per la sua eccentricità geografica, per il suo essere stato come dice Verlaine «parisien un instant» e bretone sempre. E vale la pena di riportare le parole con cui Verlaine lo presenta, nel 1884 tra i Poètes maudits :
Tristan Corbière fut un Breton, un marin, et le dédaigneux par excellence, oes triplex. Breton sans guère de pratique catholique, mais croyant en diable ; marin ni militaire, ni surtout marchand, mais amoureux furieux de la mer, qu’il ne montait que dans la tempête, excessivement fougueux sur ce plus fougueux des chevaux (on raconte de lui des prodiges d’imprudence folle), dédaigneux du Succès et de la Gloire au point qu’il avait de défier ces deux imbéciles d’émouvoir un instant sa pitié pour eux !
Passons sur l’homme qui fut si haut, et parlons du poète. Comme rimeur et comme prosodiste il n’a rien d’impeccable, à commencer par Homère qui somnole quelquefois, pour aboutir à Goethe le très humain, quoi qu’on en dise, en passant par le plus irrégulier Shakespeare. Les impeccables, ce sont...tels et tels. Du bois, du bois et encore du bois. Corbière était en chair et en os tout bêtement.
Son vers vit, rit, pleure très peu, se moque bien, et blague encore mieux. Amer d’ailleurs et salé comme son cher Océan, nullement berceur ainsi qu’il arrive parfois à ce turbulent ami, mais roulant comme lui des rayons de soleil, de lune et d’étoiles dans la phosphorescence d’une houle et de vagues enragées !
Il devint Parisien un instant mais sans le sale esprit mesquin : des hoquets, un vomissement, l’ironie féroce et pimpante, de la bile et de la fièvre s’exaspérant en génie et jusqu’à quelle gaîté !
In una ristampa dei Poeti maledetti di Verlaine, in tiratura limitata e ornata di litografie di Luc-Albert Moreau, Corbière è rappresentato da Moreau tra il cantautore e il libertario. E credo siano questi gli elementi, intrinseci alla sua poesia, che rendano oggi possibile il ritorno, la rilettura. Ma Velly ne ha fatto una lettura meno superficiale, e andato al di là di quel che di Corbière può oggi essere moda. E, soprattutto, vi ha incontrato il colore: un colore «nordico», un colore bretone. Ma rivissuto nelle promenades dans Rome.
leggere un testo a riguardo: una breve intersezione...