Laura Signoretti
ENFIN Invito alla lettura delle stampe
in «Grafica d’Arte», n° 31, 1997.
Una creazione fantastica, visionaria, immaginifica è stata l’arte di J.-P. Velly, di cui mirabile sintesi è la visione chimerica dell’incisione Enfin (Infine), titolo suggestivo come suggestiva è la rappresentazione che sugella: un centro vuoto e luminoso, dal quale è difficile dire se il flusso vorticoso d’entità animate, inanimate, meccaniche che vi gravita intorno, sia respinto o attratto.
Sbigottimento, questo è il sentimento che si prova accostando l’opera, la cui composizione apparentemente caotica rivela ad un più attento e prolungato sguardo uno studiato impianto costruttivo, all’interno del quale la sostanza magmatica degli elementi si configura con esattezza. Ogni dettaglio, anche il più piccolo, è minuziosamente descritto con segni ben calibrati dalla punta raffinata del bulino e con tratti morsi più o meno intensamente dall’acido. L’accostamento di acquaforte e bulino produce, inoltre, un vivace cromatismo di cui l’artista si serve per dare dinamismo alla rappresentazione e per cercare contrasti luministici e tonali. Si passa così dal bianco netto del centro gravitazionale, vibrante di luce, al nero profondo dello spazio circostante, attraverso la vasta gamma di grigi che danno forma agli elementi.
Questi ultimi si compenetrano e si fondono in maniera rigorosa seguendo un ordine che non è quello spaziale della realtà oggettiva, bensì quello atemporale dell’interiorità, della coscienza, dove si affrontano e confrontano memorie del passato, dati del presente, prefigurazioni del futuro.
Proprio questa soggestività, dato caratterizante l’intera produzione artistica di Velly, non consente un’interpretazione univoca del soggetto di quest’incisione, in cui è facile perdersi, entusiasmante cercarsi e ritrovarsi. Diverse possono esserne, dunque, le chiavi di lettura: due quelle che si propogono, invitando l’osservatore a scegliere l’angolo di visione preferito o più congeniale alla propria natura.
Enfin si può “osservare” nel suo dualismo di immagine apocallitica (l’attrazione degli elementi verso il centro luminoso come raffigurazione della fine del mondo) e di immagine cosmica (esplosione degli elementi dal centro verso l’universo infinito come metafora dell’origine di ogni cosa), oppure si può “vedere” come espressione del turbine dei pensieri agitantesi nella mente dell’essere umano, il quale nella sua ricerca continua di risposte al mistero della vita schiude lo sguardo alla contemplazione del creato per aprirsi, enfin, all’infinito.