Corriere della Sera
20 ottobre 1993
Retrospettiva a Villa Medici
Morte annunciata dell’alchimista pittore
di Stefania Trabucchi
“Un uomo di 47 anni sale in compagnia del figlio su una barca a vela per fare un giretto sul lago di Bracciano... una virata brusca o inaspettata, l’uomo cade a picco nell’acqua e non lo vedono più.” La morte del pittore Jean-Pierre Velly, avvenuta nel maggio del 1990, è rievocata in forma di cronaca-romanzata su “Il Giornale” di Indro Montanelli, secondo uno stile poco usato in Italia ma molto efficace per inquadrare non solo la scomparsa ma anche l’insolita vicenda dell’artista bretone.
Visionario, ossessionato dal dettaglio, tanto da realizzare le sue opere con una precisione quasi maniacale, poco prima di essere inghiottito dalle acque del lago laziale, Jean-Pierre Velly (1943-1990) aveva più volte ritratto in numerosi acquerelli “La burrasca”: un universo cupo e tormentato.
Presentimento o intuizioni d’autore?
Il personaggio è sicuramente inquietante e strano, tanto da meritare l’attenzione di Villa Medici che ora gli dedica una ricca retrospettiva, organizzata dal direttore dell’Accademia di Francia, Jean-Marie Drot e con la direzione artistica di Giuliano de Marsanich.
Velly nasce a Audierne, in Francia. Approdato come “prix de Rome” all’Accademia di Francia nel 1970 (sic), subito si ritira a Formello, residenza d’obbligo di tutti gli artisti del Gran Tour. Qui Velly vive isolato. Nell’antica terra etrusca, insegue estro e ispirazione in un studio più simile al laboratorio di un alchemista dell’incisione. Tra ali di libelula, talpe e topi di campagna, civette impagliate e scheletri di uccelli, nasce un’insolita galleria di “ritratti” verdi, disegnati con una sensibilità gotica e la memoria del botanico. Il suo segno è preciso e netto mentre ripercorre le mille avenature delle foglie o si perde nei labirinti delle radici simili a mandragore pietrificate.
Le sue muse grafiche sono Dürer e Bosch. Quando rende lore omaggio prende una bella carta antica e prima dell’uso la stropiccia con cura perché sulle sue opere sia ben visibile il segno del tempo. A scandire l’avvicinarsi della morte è un piccolo metronono che, nel suo laboratorio, ritma i graffi del bulino che corrono sulla lastra di rame.
Per Velly indagare tra le tenebre è necessità anche se poi a squarciare le sue notti cupe sono sovente raggi luminosissimi.
L’artista francese era affascinato dalla luce dorata di Roma, «prodigio superstite» di tante devastazioni.
Ne è un esempio il “Tramonto” del 1990, l’anno della sua tragica scomparsa, un piccolo acquarello che fa parte della mostra proposta da Villa Medici, assieme ad altre 139 opere.
I paesaggi crepuscolari, nutriti di visioni fantastiche, sembrano nascere da letture come l’Apocalisse o l’Inferno di Dante ma poi il segno minuto di Velly a insinuare il dubbio che queste non siano solo allucinazioni.
Jean-Pierre Velly ha vissuto questa strana vicenda terrena assicurando di vivere il presente, «Non sono un fantasma» amava ripetere. Eppure ha «navigato» al di fuori del tempo e dello spazio lasciando tracce antiche e menumenti già morti, come quel “Rudere” del 1990.
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Villa Medici viale Trinità dei Monti 1
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Orario: 10-13 e 15-19, lunedì chiuso. Fino al 28 novembre