CONVERSAZIONE CON JEAN-PIERRE VELLY
Ginevra Mariani (2003)
Le clair que tu hais vient du noir qui te manque
J.-Pierre Velly
Avendo conosciuto l’artista e la sua opera avrei trovato molto interessante oggi sottoporre a Jean-Pierre Velly una serie di domande sui temi indagati in questo manuale sulle tecniche d’incisione calcografica, anche perché Jean-Pierre aveva tenuto delle lezioni sulla tecnica del bulino nei seminari condotti in Calcografia da Federica Di Castro alla fine degli anni Ottanta.
Analizzando le stampe di questo artista bretone, venuto a Roma nel 1967 a Villa Medici, avendo vinto il Grand prix de Rome per l’incisione, torna in mente quella definizione di “spirito del bulino” usata da Panofsky a proposito delle incisioni di Dürer. Non tanto per andare a ricercare le possibili influenze estetiche o i maestri che hanno ispirato Velly, in quanto lui stesso li indicava: Dürer appunto, ma anche Seghers, Rembrandt, Bresdin, ma piuttosto per capire il meccanismo mentale che è alla base dell’elaborazione della matrice incisa a bulino. Meccanismo tutto intellettuale quello di Velly, che riguardo al suo modo di concepire l’incisione. Affermava: “A lungo mi sono costretto a quest’ascesi rifiutando ogni artificio” esprimendo così quello stato d’animo e quello spirito più propriamente confacenti alla sua matrice nordica. La grafica occupa un posto importante nell’opera del maestro bretone e per alcuni anni, fino al 1979, rappresenta il luogo privilegiato della sua espressione creativa. In un’intervista del 1989, rilasciata a Silvia Dell’Orso per il n. 196 della rivista “Arte”, Velly dichiarava: “Ci sono momenti, nei quali mi sento attratto da una tecnica piuttosto che da altra, ed è la volta che mi dedico solo a quella. È come se l’incisione, l’olio, l’acquerello fossero tre mondi con il medesimo scopo, ma con linguaggi specifici; le chiavi del vocabolario, insomma sono abbastanza stagne... La tecnica è solo uno strumento da possedere, per quanto non sia mai completamente acquisita, ma non è il vero scopo dell’arte.”
Per Jean-Pierre il vero scopo dell’arte sembra racchiuso in quella frase che dice che un vero maestro è colui che ha il coraggio di andare al limite estremo di se stesso. Quel limite che oggi, dopo il tragico incidente avvenuto nel 1990 sul lago di Bracciano, sembra essere prefigurato negli acquerelli ispirati alle poesie del poeta maledetto Tristan Corbière, esposti nel 1978 a Roma nella Galleria Don Chisciotte. In particolare Sphère, in cui il corpo esanime di un uomo restituito dal mare in tempesta ha le sembianze dell’artista. Il corpo appare sospeso in una dimensione cosmica, simboleggiata dalla sfera che sembra alludere al punto in cui vita e morte coincidono, quel punto da cui ha origine la creazione dell’artista, il suo limite estremo.
Non a caso Un point c’est tout (fig. 2) è il titolo di un magnifico bulino in cui da un punto esplode un magma fatto di corpi e di oggetti, con quella stessa deflagrazione violenta con cui nel parto nasce la vita. Quella stessa vita che prende forma nel fitto tessuto di segni: il punto, il tratto, il nero dell’inchiostro che vanno a ricoprire il bianco della carta: “Le clair que tu hais...” e che non sono altro che gli stilemi originali del linguaggio dell’incisione. Volendo presentare un artista contemporaneo in grado di esprimere pienamente, attraverso la sua opera e il suo pensiero, il rapporto stretto con l’incisione a bulino, mi è sembrato molto interessante riproporre l’intervista che Velly ha rilasciato a Jean-Marie Drot, direttore di Villa Medici, per la rivista “Villa Medici - Journal de voyage” del dicembre 1989, in quanto in maniera diretta permette di avvicinarsi al processo creativo dell’artista.
Ginevra Mariani
p.119