QUANDO IL BAMBINO GUARDA LA MONTAGNA
una novella di Jean-Pierre Velly, 1988
pubblicata nel 1991 in un catalogo della Galleria Don Chisciotte
Fa freddo in questa Fine di Novembre, nel cortile della scuola. Un Bambino è là, mani in tasca, e guarda.Guarda gli altri che, felici, giocano a bilie, ma guarda, soprattutto, le loro bilie. Il bambino di cui vi parlo non aveva bilie nelle tasche; aveva occhi neri, profondi e scintillanti come la notte.Nei suoi sogni notturni le stelle si mutavano in bilie. . . . . ecco la Grande Orsa, rotolante sul fondo del tappeto di velluto nero, come il gioco nel cortile della scuola. Un gioco di Comete, Astri e Stelle che rotolano, si incrociano, si scontrano... in un’esplosione di luce e di rumore,.. tanto rumore che il bambino si sveglia.- nella testa frammenti d’astro - nell’anima, scintille.Fu una di queste scintille_ il bambino ne fu infiammato d’improvviso, ed ebbe l’anima invasa da un fuoco destinato a durare, ad alimentare la sua speranza. Così dall’età di sette anni egli serbò e custodì il suo proposito.Quando ne ebbe quindici si disse:“non ho mai posseduto bilie, ma ora realizzo il mio sogno: avrò una bilia, una sola, ma la più grande, la più bella, la più perfetta. . . la più grande e perfetta!!!”
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Salutò suo padre, sua madre, e partì verso le montagne.
Camminò per mesi e mesi, attraverso piante, pianure e colline. Finalmente giunse alle Montagne - ne perlustrò alcune, ne scalò altre; dall’alto delle cime, il suo sguardo percorreva il panorama alla ricerca di quella che più si avvicinasse all’immagine sognata.La trovò infine: pochi alberi e radi cespugli non bastavano a dissimularne l’eburnea superficie, tali caratteristiche la distinguevano dalle scure montagne circostanti, i cui fianchi erano, al contrario, fitti di vegetazione e di immensi alberi dal fusto ben dritto, come predestinati dalla sorte che il attendeva: li avrebbe utilizzati per erigere una immensa impalcatura intorno alla sua montagna. Si mise al lavoro...
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il tempo passò ……
La montagna bianca fu catturata a poco a poco da una ragnatela di legno. Giunse infine il giorno in cui essa fu sua prigioniera. Senza possibilità di fuga. Egli aveva portato con sé, oltre agli attrezzi per scolpire, alcune forme di perfetto semicerchio, che l’avrebbero aiutato a correggere il lavoro durante l’esecuzione. Cominciò a scolpire la montagna; aggredì i picchi, livellò le asperità, smussò la cima e la montagna cominciò a prendere forma si arrotondò e, come succede a volte al ventre delle donne, assumeva poco alla volta una rotondità mobile, viva, (pur dentro la sua prigione di legno) Egli, infaticabile, si arrampicava sulle picchi alture circostanti per meglio osservare l’andamento del suo lavoro, controllava il profilo della roccia, ne verificava le proporzioni, scendeva dal suo punto di osservazione, risaliva l’enorme impalcatura e continuava l’opera. Lentamente la montagna si disfaceva, riducendosi di mese in mese. . . . .E lui infaticabile non cessava di controllare, correggere e portare avanti il suo lavoro.La montagna si disfaceva, avvicinandosi sempre più alla perfezione di una sfera. il lavoro durò lunghi anni
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Venne il giorno della ricompensa, l’ultimo controllo glielo confermò: la sfera era perfetta!In tutto questo lungo tempo, egli aveva abitato in una piccola capanna. Vi si diresse.Si distese sul suo giaciglio, serrando nella sua mano irrigidita la sfera perfetta.Aveva 90 anni. La sfera aveva la grandezza di una bilia.Dove si ergeva la montagna, ora c’era una distesa di schegge bianche, scintillanti, che facevano pensare, a volte, alla neve. . . . .
Passo il tempo, tanto tempo ...
Un giorno, un ragazzino e suo padre camminavano per le montagne. Furono attratti da ciò che un tempo poteva essere stata una capanna: quattro pali ficcati nel terreno, né tetto, né muri...Attraversarono quella che doveva essere stata la soglia. Li colpi il contrasto tra il terreno circostante, di un tono biancastro e la superficie delimitata dai quattro pali che aveva invece il colore della terra.Proseguirono la loro passeggiata.Improvvisamente lo sguardo del bambino si fermò su un punto del terreno: un piccolo oggetto tondo attirava l’attenzione proprio in virtù del forte contrasto con le forme acute, aggressive, taglienti, che lo circondavano. Si chinò per meglio osservare - lo raccolse. Era una sfera perfetta delle dimensioni di una bilia. Tutto contento se la mise in tasca: ci avrebbe giocato con i suoi compagni a pena tornato a scuola casa.
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Fa freddo in questa fine di Novembre nel cortile della scuola - il bambino è là, circondato dai suoi compagni che lo guardano stupefatti. Anche oggi non ha sbagliato un lancio e ha vinto un gran numero di bilie.Come ogni altro giorno, appena tornato a casa le ripone in un grande cassetto del suo scrittoio. Ormai, ne possiede centinaia
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Pochi giorni dopo, i suoi compagni non hanno più bilie per giocare; quando si incontrano nel cortile della scuola lui è l’unico ad avere una bilia in tasca, la sua bilia bianca.Quel giorno, appena rientrato a casa, la prende e la mette nel cassetto insieme alle altre.non ci pensa più.
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Non ci pensò più fino al giorno in cui, qualche anno dopo, senza apparente ragione gli capitò di ripensare a quella strana faccenda delle bilie:“possibile che fosse diventato così bravo in questo gioco dall’oggi al domani? Strano....”Si diresse automaticamente verso lo scrittoio e ne aprì il cassetto: lo sguardo gli cadde immediatamente sulla bilia bianca, benché semisepolta tra la miriade di sfere multicolori… la prese e, assorto, la rigirò tra le dita. Era tanto tempo che non giocava con le bilie. D’impulso ne prese un’altra, a caso, e la mise per terra. Si sistemò a distanza ragionevole e lanciò la bilia bianca: questa colpì con precisione il bersaglio.Ripeté senza stancarsi l’esperienza moltiplicando, di volta in volta, le difficoltà. La bilia colpiva sempre il bersaglio.Tentò allora un lancio impossibile: piazzò il bersaglio diritto davanti a sé, ma, anziché mirare in quella direzione, lanciò la bilia bianca verso la sua destra...Stupefatto vide la bilia descrivere una magnifica curva per andare colpire in pieno contro il bersaglio...Ricordava perfettamente il posto in cui l’aveva trovata.Aveva 15 anni, salutò suo padre, sua madre, e partì verso le montagne, la bilia in tasca. Ricordava perfettamente il posto luogo in cui l’aveva trovata
Passò il tempo . . . .
Arrivato dopo quel lungo viaggio riconobbe la superficie color terra su cui un tempo doveva essere stata edificata la capanna, la ricostruì e ci si installò, deciso a scoprire sul posto il segreto della piccola sfera bianca.Trascorreva le proprie giornate passeggiando, meditando, contemplando il superbo scenario delle montagne, la luminosa distesa di pietre bianche tutto intorno.…Un giorno se ne stava seduto per terra davanti alla capanna, immerso nei suoi pensieri; giocherellava con due bianchi frammenti di pietra, rigirandoli meccanicamente tra le dita. All’improvviso si rese conto che unendoli, essi combaciavano alla perfezione: il caso aveva voluto che proprio questi due, tra milioni e milioni di altri, del tutto simili, formassero un unico pezzo...Finalmente capì cosa doveva fare: Pazientemente ricostruì, scheggia dopo scheggia, frammento dopo frammento, l’intera montagna, fino a quando non ne ebbe ricostruita la forma originaria.Poco alla volta, ecco riapparire le brusche pendici, i picchi aspri, il profilo maestoso, la cima superba. . . la montagna bianca ora svettava imponente nella sua marmorea luminosità, perfetta nei contorni irregolari.Egli la contemplò a lungo, poi si diresse verso la capanna in cui aveva vissuto così a lungo.Aveva 90 anni. Si distese sul suo giaciglio serrando nella mano irrigidita la piccola sfera perfetta, la bilia della sua infanzia. L’ultima visione che ebbe di questo mondo, fu l’immagine della sua montagna:Era l’unico a sapere che al centro di essa, c’era un vuoto perfettamente sferico.
Della grandezza di una Bilia.
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JPV
Formello ‘88
leggere il testo di Gabriele Simongini
l'enigma della biglia e della montagna 2016
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la biglia sul picco
... Jean-Pierre ha scritto un racconto inedito. Quando il bambino guarda la montagna; il protagonista muore a novanta anni. Forse aveva un’alta idea della vecchiaia, ma il pittore è morto in un incidente di navigazione a Trevignano, a soli quarantasette anni. Singolarmente bella è nel racconto l’idea del tempo: un attimo dall’infanzia a novant’anni, e vi campeggia un solo episodio. Il bambino vince, stupefatto di sé, un gran numero di bilie, colpendo sempre il bersaglio. Poi, giocando con frammenti di pietra combacianti, ricostruisce pazientemente un’intera montagna bianca e muore stringendo vecchissimo una bilia con la mano scarna. Forse Velly, anche lui, ha colpito sempre il bersaglio ed è morto stringendo in mano la sua bilia bianca, la perfetta piccola sfera, il centro vuoto della montagna, di cui solo lui conosce il segreto.
Marisa Volpi, 1993