“La clef des songes”, una delle opere di Jean-Pierre Velly in mostra a Villa Medici, dove si sta svolgendo una retrospettiva dell’artista francese, scomparso tre anni fa.
Gli acquerelli delicati e le misteriose incisioni dell’artista francese scomparso tre anni fa, in una mostra ospitata a Villa Medici
La doppia natura di Velly
tra incanti e disperazione
di Ludovico Pratesi
La Repubblica
3 novembre 1993
arteRoma
Acquerelli dai colori delicati, capaci di affascinare scrittori come Sciascia e Moravia. Incisioni oscure e misteriose, dense di umori nordici, che hanno incantato esperti d’arte del calibro di Mario Praz, Jean Leymarie, Vittorio Sgarbi e Marisa Volpi.
Eppure, nonostante il favore incondizionato di letterati e studiosi le opere di Jean-Pierre Velly (1943-1990) artista francese di notevole talento e spiccata sensibilità, sono rimaste a lungo riservate ad un pubblico di intenditori, lontane dai clamori della notorietà.
Dopo tre anni dalla scomparsa di Velly, l’ampia retrospettiva dedicata all’artista che si è inaugurata martedì scorso a Villa Medici rende finalmente giustizia a questo personaggio appartato, controcorrente, sospeso tra tradizione e modernità.
A onorare la memoria di Velly e di un suo famoso collezionista, Pietro Barilla (a cui è dedicata l’esposizione), nei saloni dell’Accademia di Francia c’era molta gente, tutti amici e estimatori del maestro: Ruggero Orlando, Marisa Volpi, Andrea Occhipinti, Carmen Llera, Giovanna Dalla Chiesa e tanti altri, ricevuti da Jean-Marie Drot, un “padrone di casa” attento e premuroso.
La mostra riunisce centoquaranta opere, tra dipinti, disegni, acquerelli e incisioni, realizzati nel corso del lungo soggiorno italiano dell’artista, cominciato all’inizio degli anni Settanta (sic). Ecco le nature morte dessicate, pallidi mazzolini di fiori dalle foglie riarse che ci ricordano il tratto minuzioso di Dürer e dei fiamminghi.
Ecco i paesaggi e gli orizzonti marini, soffocati da minacciosi cieli di tempesta dai riflessi bluastri; le vedute boscose della campagna viterbese, tra robuste querce e impervi valloni, che Velly ritrae con la perizia e la precisione di Rembrandt, in un suggestivo gioco di verdi e ocra liquefatti e dissolti in mille sfumature.
Tra i dipinti esposti spicca l’oscuro “Autoritratto” (1986), dove il pittore presenta se stesso davanti al tavolo da lavoro; un pallido raggio d luce penetra nell’oscurità per rivelare un volto contratto ed espressivo, un ciuffo di pennelli, due bicchieri e i gruppi di colore che ravvivano il piano nero del tavolino.
La doppia natura di Velly, in bilico tra “verità e consolazione, consapevolezza e incanto, disperazione e sospensione”, come ha sottolineato Sgarbi, appare in tutta la sua ambiguità nei disegni e nelle incisioni, che svelano la dimensione notturna del pittore. Topi, pipistrelli, civette e scarabei popolano questi “incubi su carta”, abitati da nudi femminili e tronchi di alberi morti, aggrovigliate metafore della disperazione di esistere.
Villa Medici in viale Trinità dei Monti 1, fino al 28 novembre (10-13; 15-19; chiuso il lunedì).