Intervista a Giuliano de Marsanich, Galleria Don Chisciotte Roma a cura di Pierre Higonnet, giugno 2009
P.H. Raccontami un po’ delle tue origini, Giuliano.
G.D.M. Sono nato nel 1929. Provengo da una famiglia romana, tradizionale, tranquilla, fascista ... normale, insomma! (sorride). Mio padre era un funzionario dello Stato, una persona per bene, delicato; oggi si direbbe “un vecchio gentiluomo”. E’ mio padre che mi fece assaporare la cultura (era appassionato di Storia). Ero molto legato a lui, e mi manca ancora. Mia madre, decisamente più giovane di mio padre, era anche lei molto amabile.
P.H. Eri portato per la pittura da giovane ? Per l’arte classica ?
G.D.M. No, per niente. Ero un “balilla”, cioè ero nell’organizzazione fascista che forgiava “al coraggio, all’eroismo, alla forza, al moschetto” (sorride). I miei studi scolastici si interruppero nel 1944, quando l’occupazione tedesca durò ben nove mesi. E furono giorni terribili di fame e di morte. Questo evento creò una frattura molto forte con la “normalità”. Mi sembrò assurdo andare a studiare greco quando a tre metri le persone venivano uccise. Malgrado studi irregolari e privi di disciplina, presi comunque la licenza liceale. Poi andai all’università ed ero anche piuttosto bravo. Ma piano piano mi stancai di quell’ambiente e decisi di fare l’artista. Aprii un studio di ceramiche con un forno, e lì fu l’inizio della mia perdita (ride). La fine degli anni cinquanta fu un periodo di “bohème”, che durò un po’ di anni.
P.H. Come nasce la Galleria Don Chisciotte?
G.D.M. Nel 1962 mia moglie era in attesa del mio primogenito e l’avvenimento cambiò profondamente il rapporto con la realtà. Con questa responsabilità decisi a freddo che avrei dovuto iniziare una nuova attività. Fondai quell’anno stesso la “Galleria Don Chisciotte.” Ci furono una serie di circostanze molto favorevoli: ero amico di alcuni artisti, come Vespignani (1) o Attardi (2), che mi aiutarono all’inizio dandomi fiducia. La prima mostra che feci fu di Mario Lattes (3), personaggio molto complesso, pittore notevolissimo di Torino, un personaggio straordinario. E ho avuto la fortuna di aver una presentazione di Alberto Moravia (4). Con Moravia, sebbene ci fosse una notevole differenza di età, si instaurò una grande amicizia, consolidata nel tempo. Poi non dimentichiamo che eravamo negli anni ’60 e con il boom economico, l’Italia cominciava ad assaporare il gusto dei soldi: c’era un terreno molto fertile durato diversi anni.
P.H. La Galleria aveva una linea definita ?
G.D.M. In parte definita. Seguivo due strade : una, diciamo, quella “romana”, in cui feci la mostra a Guttuso (5), a Cagli (6), a Maccari(7), tanti artisti tipicamente romani. Ma a lato di questa, c’era un’attività che mi era decisamente più congeniale. Ho sempre subito il fascino del fantastico, che in Italia era poco abituale. Perciò collaborai con artisti cecoslovacchi, francesi, assolutamente sconosciuti al pubblico italiano. C’erano Brunovski (8), Anderle (9), Cinovski (10) e Fuchs (11) ... e con la Francia iniziò con il nostro Jean-Pierre Velly.
P.H. Ma questo è successo dopo quasi dieci anni dalla nascita della Galleria Don Chisciotte, la quale, immagino, doveva essere già abbastanza avviata a quel tempo.
G.D.M. Sì, rendeva abbastanza; in tutti questi anni ho vissuto sui proventi della Galleria. Non mi sono mai arricchito, ma mi bastava per vivere e poi questa attività mi aveva molto preso, e anche molto divertito. Era un lavoro decisamente appassionante, affascinante, che mi ha consentito di vivere bene. Poi a lato delle mostre, c’era un’altra attività che cercavo di portare avanti, legata ai letterati, ai poeti: serate con Bassani(12), con lo stesso Moravia, con Bertolucci(13), Luca Canali(14)... tutta una serie di grossi intellettuali. Organizzavamo incontri culturali, presentavamo libri, stimolavamo dibattiti. E questo mi distingueva dalle altre gallerie. Poi ho avuto la fortuna di conoscere parecchia gente legata al mondo del cinema che frequentava la galleria: all’epoca, comprare un quadro faceva un po’ “chic.” C’era per esempio Ugo Tognazzi (15), l’attore, che era assolutamente a digiuno di arte, ma acquistava queste cose perché… era nell’aria. Poi la Galleria ha avuto come una sterzata psicologica determinata dell’incontro con Jean-Pierre Velly. E l’incontro con questo personaggio modificò radicalmente la struttura culturale della Galleria. Lui e le sue opere diedero un timbro diverso e marcato che durò ben venti anni.
P.H. L’incontro con Velly fu organizzato da Domenico Petrocelli (16) che conoscevi abbastanza bene, vero?
G.D.M. Sì, per la sua insistenza, presi la macchina e mi recai a Formello (dove Velly viveva già da un anno), anche se ero sempre stato molto restio a muovermi. L’uomo e le sue opere mi colpirono molto. Era giovane, ma era già quello che poi sarebbe stato negli anni a venire: un misto, alquanto curioso, di molteplici personalità... Molta gente è convinta che lui fosse un uomo serio, triste, drammatico ... e in parte lo era. Ma c’era anche una parte allegra, gioiosa, direi quasi infantile, di gioco nei confronti della vita. E questo lo esprimeva con il suo volto, con le mani... aveva una fisicità molto pregnante. La sua influenza fu per me determinante. Questo incontro sconvolse totalmente la mia vita.
P.H. Fu un amore a prima vista, dunque ?
G.D.M. Sicuramente, ma come succede qualche volta, più il rapporto andava avanti, più si consolidava. Non era solo un rapporto economico - c’era anche quello naturalmente - era una rapporto molto più complesso, di grande amore, direi... E penso reciproco.
P.H. La prima mostra insieme ?
G.D.M. Era una mostra di incisioni: ricordo che ebbe un successo straordinario, ben aldilà di qualsiasi aspettativa.
P.H. Capisco, poiché le incisioni di Velly non sono ‘facili’, non sono decorative, sono talvolta anche difficili da leggere.
G.D.M. Fu comunque una risposta ben superiore alle nostre attese. La bravura di Velly, il mondo che esprimeva era di una suggestione così forte che andava al di là delle mode di quegli anni. Questo uomo, precipitato da un tempo diverso, colpì profondamente l’immaginario degli estimatori e, fortunatamente, non si è mai perso. Poi non dimentichiamo che ebbe anche il supporto della stampa, di articoli molto elogiativi di tanti intellettuali e critici. Tra questa numerosa schiera di intellettuali, alcuni trovarono in lui un grande, reale artista del nostro secolo. Poi l’incisione andava bene. All’epoca, c’erano tre grossi incisori: il primo era sicuramente Morandi (17), il secondo Viviani (18), e il terzo Bartolini (19). E di tutti e tre feci la mostra. Poi successivamente c’era anche Vespignani, anche lui straordinario incisore.
P.H. Ti sei reso conto subito che avevi per le mani un giovane artista che avrebbe prima o poi sfondato?
G.D.M. Non userei questo termine. Ebbi subito la certezza che il percorso che avrebbe seguito sarebbe stato sempre in salita. Culturalmente, lui ci proponeva “l’aldilà” o forse anche “il contro” di certe posizioni predominanti dell’epoca. Però, ero così sicuro della grandezza delle sue opere che non ho mai avuto dubbi: prima o dopo i conti sarebbero risultati giusti.
P.H. Velly era consapevole di tutto ciò?
G.D.M. In certi momenti scherzava anche sulle sue opere, prendendole in giro, però nel suo profondo era molto consapevole di essere una specie di sacerdote dell’arte. E non è un caso che abbia fatto coincidere la sua vita legandola alle proprie opere. Questo è un caso estremamente raro, l’unico a cui potrei paragonarlo è Morandi.
P.H. Come viveva ?
G.D.M. Formello era un piccolo villaggio alle porte di Roma e viveva un po’ come nel Medioevo. Aveva questi capelli particolari... un po’ grotteschi, no? Indossava sempre gli stessi indumenti, si era portato persino gli zoccoli di legno dalla Bretagna... Era completamente disinteressato al denaro. Non che ne fosse estraneo, semplicemente non ne era stato conquistato. Aveva una moglie e un figliolo: guadagnare era necessario. Ma aveva un rapporto antico sia con le cose sia con la gente. Mi ricordo che diffidando delle banche, mise i soldi in una scatola di latta sistemata da qualche parte, nel sottotetto credo. Diversi mesi dopo trovò la scatola completamente vuota! I topi avevano divorato tutte le banconote....
P.H. Perché decise di rimanere in Italia invece di tornare in patria ?
G.D.M. Per diverse ragioni. Gli affitti nei piccoli centri erano piuttosto bassi, ma soprattutto rimase affascinato dal nostro Paese, con il quale ebbe sempre uno straordinario rapporto fatto di passione e amore ... per il paesaggio, per la cultura italiana.
P.H. Suppongo che questa passione dovesse essere molto forte, dato che sembra avesse rifiutato la cattedra d’incisione alla Scuola Politecnica di Parigi, un’ottima sistemazione per un giovane artista. Non aveva intenzione di fare il “professore”, voleva vivere libero la sua vita d’artista... Dunque, nel 1972, fai una seconda mostra, questa volta solo di disegni a punta d’argento, soggetti molto diversi dalle incisioni. Sono ritratti di persone: bambini, fanciulli, uomini e donne, dei vecchi... tutti personaggi di Formello.
G.D.M. Lui – del resto lo diceva sempre - seguiva una tecnica per certe cose e un’altra per sviluppare un ulteriore lato del suo mondo poetico. La sua eccellenza parte dalle incisioni. Ci troviamo dinanzi a una grande incisore dell'altezza di - tanto per dire - Dürer.
P.H. Ma non credi che questi ritratti della gente di Formello erano un modo per lui di inserirsi in un paese dove non conosceva nessuno ?
G.D.M. Può darsi. Parlava l’italiano, non benissimo, ma in maniera accettabile. Poi prese una casa vecchia quasi diroccata, che trasformò in una casa molto bella, che fece poi con le sue mani. Era una casa di grande suggestione.
P.H. Ci risulta che la produzione di Velly tra il 1973 e il 1975 sia stata alquanto scarsa, intendo a livello quantitativo. Solo una decina di incisioni e qualche disegno. Posso immaginare che era preso dalla sistemazione della casa, ma ti risulta che abbia avuto una sorte di crisi in quel periodo ?
G.D.M. Non me lo ricordo, non ho una risposta esauriente a riguardo.
P.H. Nel 1976 Velly ricomincia a dipingere - perché si sa che dipingeva da giovane, tecnica che poi lasciò per dedicarsi interamente all’incisione. Produce la serie di opere su carta chiamata “Velly pour Corbière.”20 Sono disegni acquerellati, e anche acquerelli e qualche olio. L’hai spinto tu a dipingere?
G.D.M. No! Non mi sono mai permesso di condizionarlo in qualche misura. Ero felice che avesse rincontrato la pittura, gli acquerelli, le tempere, facendo delle cose di una bellezza veramente fuori dal comune. Però non mi sarei mai permesso di stimolarlo a ripetere un certo paesaggio perché riscontrasse successo con il pubblico. Avevo per lui un grande rispetto...
P.H. E i vasi di fiori?
G.D.M. Ma, probabilmente erano un elemento naturale; mi meraviglierebbe se non fosse così. Cioè avere riscontro, a volte entusiastico, con un certo genere di arte non può che fare piacere insomma. Tutti noi abbiamo piacere del riconoscimento della nostra opera. Poi lui era incantato da questo mondo naturale, c’era una forma di osmosi. Tanto è vero che ci sono delle opere che sono degli autoritratti anche se non compare la sua figura.
P.H. Sicuro. Anch’io trovo che l’opera di Jean-Pierre sia molto autobiografica.
G.D.M. Sì, è incredibile.
P.H. Che rapporto aveva Velly con gli altri artisti della Galleria?
G.D.M. Aveva un rapporto che hanno certe madri verso la fidanzata del proprio figlio che apparentemente dicono: “Ah, com’è simpatica la ragazza che frequenti!”, ma capisci subito che non è vero. Però è sempre stato leale, una persona generosa. Lui mi indicò per esempio alcuni artisti francesi, come il suo grande amico Moreh (21), Desmazières (22), Doaré (23), Lunven... e Le Maréchal (24) che era per lui, non dico maestro, ma un suo vero interlocutore. E di Le Maréchal feci una bellissima mostra... tanti, tanti anni fa. Poi ebbe un buon rapporto con Guccione (25) che considerava un artista vero. Non so se conosci questo episodio: Jean-Pierre a Parigi comprò una scatola bellissima di pastelli. Poi andammo a vedere una mostra di Guccione dove c’erano dei pastelli di una bellezza straordinaria. Allora Velly regalò questa scatola di pastelli a Guccione, dicendogli che nelle sue mani sarebbero stati molto più utili. Guccione contraccambiò e gli diede un suo disegno. Con Pedro Cano (26) ebbe rapporti affettuosi. Non c’è dubbio che stimava anche molto Edo Janich.(27)
P.H. Ti parlava di François Lunven (28) ?
G.D.M. Poco, perché le vicende di questo artista l’avevano molto addolorato.
P.H. Peccato, perché il rapporto con Lunven è molto rilevante. Hanno avuto un sodalizio artistico che non si mai più ritrovato. Stiamo studiando il rapporto tra di loro e sicuramente l’influenza di Lunven si è fatta sentire in più di un’opera. Catherine Velly (29) mi disse che Ciel étoilé è addirittura un ritratto di François Lunven. L’avrà segnato profondamente.
G.D.M. Sì, anche dal lato psicologico: il rapporto con la morte Lunven lo ha assolto nella maniera più semplice, uccidendosi. In Velly le forze della vita hanno sempre superato quelle della morte. Questo elemento era molto drammatico, specialmente nella seconda parte della sua vita. Lui era come una specie di Cristo laico che porta tutte le sofferenze del mondo sulle sue spalle; ma non in maniera letteraria, nel senso di “maledetto”, ma per la necessità di andare avanti. In tutte le sue opere c’è questo bussare alla porta della morte... C’era come una religiosità, non sempre detta laica, ma ripensandoci era una religiosità assoluta. Non so se arrivasse a credere nel Padre Eterno, qualche volta mi sembra di sì, qualche altra no. Negli ultimi tempi avevo alcuni dubbi... che lui potesse aver sentito il richiamo del Padre Eterno. Si confidava con il prete di Formello, un sacerdote di ottime qualità che ho anche conosciuto; ma parlare di confessione penso che sia esagerato. Il suo rapporto con la vita era di una religiosità assoluta. La vita, le piante, la natura ...
P.H. Quando sei diventato il gallerista unico di Jean-Pierre?
G.D.M. Gallerista non mi sembra il termine più esatto perché il rapporto, secondo me l’unico possibile con lui, non era solo economico, era un rapporto molto più complesso... Sì, ero il suo mercante, diciamo così...
PH Ma doveva essere molto più facile per lui che tu gestissi le sue opere?
G.D.M. Sì, in qualche modo gli toglievo un peso dallo stomaco. Poi tutto questo attivismo, purtroppo, non c’è lo mai avuto! Aspettavamo... non sono mai andato a convincere uno che... aspettavamo che arrivassero. Ed era una bella attesa!
PH Dicevamo che incide sempre meno, poi riprende a dipingere. Mi sembra che alla fine degli anni ‘70 c’è un po’ una svolta per te come per Jean-Pierre: l’arrivo di Lucio Mariani (30).
G.D.M. Sì; ero molto amico della sorella di Lucio, Emilia. Con Lucio abbiamo avuto un rapporto molto positivo; ha avuto una sua importanza, non c’è dubbio: divenne socio della Galleria per alcuni anni.
P.H. Lavorando al catalogo ragionato delle opere singole di Velly, mi risulta che numerosi soci in affari e colleghi di Mariani acquistarono delle opere.
G.D.M. Sì.
P.H. Personaggi piuttosto consistenti ...
G.D.M. Sì. Lucio amava molto Jean-Pierre che era un personaggio difficile da non amare, un uomo che colpiva molto anche con le sue stranezze.
P.H. A proposito del catalogo ragionato delle incisioni di Velly che hai pubblicato nel 1980 (31), in qualche modo segna la fine dell’attività incisoria. Nel decennio ‘80-’90 ha solo inciso sei lastre - poche, ma bellissime - tutte edizioni della Don Chisciotte che riprendono soggetti già dipinti (gli insetti, il topo, l’albero, i vasi di fiori). Dunque disegna e dipinge, ma nel corso della sua vita ci risulta che abbia fatto meno di 300 opere uniche. Poche tutto sommato.
G.D.M. Sai, prima di mandare via un’opera, la rivedeva, la ritoccava, la riguardava. Non lasciava uscire dallo studio - come fanno tanti altri artisti - cose di seconda scelta. Passava molte e molte ore nello studio. Tutte le opere che uscivano dallo studio erano perfette, meravigliose.
P.H. Dopo compravi tutte le opere di Velly. Faceva fatica a darti le opere? Era doloroso per lui?
G.D.M. No, no, no, lui lavorava... Avevamo un patto.
P.H. Distruggeva ?
G.D.M. Secondo me, non buttava niente. Se ha scartato qualcosa, l’ha nascosta. Aveva un rapporto medioevale con il suo lavoro: vita e lavoro erano un tutt’uno. La sua bottega era come quelle del Medioevo. E ti assicuro che il suo studio era di una suggestione fortissima... pieno di pipistrelli morti, teschi, ossa, libellule... una cosa inverosimile! Può sembrare un gusto letterario decadente, ma non lo era affatto: erano cose vere per lui. Un “artista” che vorrebbe fare un po’ il “maledetto”, mettere un teschio lì... Lo senti che è tutto casuale; invece per Velly era una scelta voluta.
P.H. E’ cambiato poco Velly nell’arco di questi venti anni di sodalizio?
G.D.M. Ha avuto delle fasi, dei processi... Poi è tornato ad essere quello che era. La vita non è mai come una linea diretta, rettilinea. Ci sono curve... ma alla fine - e non solo lui, ma un po’ tutti - riscopri la tua identità di anni prima. Mi sembra che un uomo nella fase, diciamo, avanzata della propria vita ritorna ai suoi primi vecchi amori che l’hanno caratterizzato. C’è una fase intermedia che viene un pochino condizionata dagli altri, dal tuo lavoro, per cui devi fare una sorta di recita - tutti l’abbiamo fatto. Quando questo si esaurisce, tu puoi riprendere il lusso di essere come quando eri giovane.
P.H. Mi puoi parlare di Giorgio Soavi (32) che amava molto Velly ?
G.D.M. Lo conobbe incontrandolo alla sua personale alla Galleria Gian Ferrari di Milano. Rimase molto colpito. Giorgio era un uomo che amava parlare, ogni tanto lo chiamava al telefono, facevano lunghe, belle conversazioni. Soavi ebbe una notevole importanza: scrisse articoli, fece pubblicare a piena pagina quadri nella rivista di Franco Maria Ricci, portò Carlo De Benedetti dell’azienda Olivetti che ci chiese tredici acquerelli per l’Agenda aziendale... Adesso ricordo che ci portò anche Pietro Barilla33. Un uomo della levatura di Barilla che volesse incontrare Jean-Pierre... Organizzammo una cena a Formello e passò ore con Velly; era molto preso da lui. Jean-Pierre quando si sentiva tranquillo era adorabile, squisito, senza mai essere artefatto. Era disinvolto, veramente sé stesso, quindi molto amabile. Si parlava di tutto e di nulla. Molte volte questi personaggi cercavano di entrare un po’ nell’anima di Velly e lì la salita era ripida.
P.H. Secondo i miei calcoli Pietro Barilla avrebbe comprato ventidue quadri di Velly.
G.D.M. E forse anche di più...
P.H. Che cosa leggeva Velly?
G.D.M. Aveva una grande passione per Céline che ho condiviso in pieno. Aveva un grande amore anche per Queneau (34) che lo divertiva, ma è Céline che sentiva più vicino. Poi ovviamente c’è Corbière. Jean-Pierre aveva una sua cultura, ma non scolastica. Velly non si interessava di politica, non è che fosse “contro”. No, era come una montagna: c’è il fascismo, c’è il comunismo, c’è la monarchia... alla montagna non interessano queste cose... Lui era così. Ascoltava la radio che gli faceva compagnia.
P.H. Non ci sorprende perché, per esempio in Un point c’est tout, gli innumerevoli oggetti collegati tra loro sembrano talvolta provenire dall’ascolto di una canzone o di una pubblicità.
G.D.M. Non andava mai al cinema: per lui uscire, guidare, parcheggiare, non fumare, pagare il biglietto era una rottura di scatole che spesso non veniva ripagata dalla bellezza del film. E non amava nemmeno i viaggi. Non avrebbe mai preso l'aereo.
P.H. Infatti, andò in Germania solo un paio di volte da Reinhold Kersten (35), qualche volta in Svizzera, in Spagna... Andava ogni anno in Francia, però! A Parigi, in Bretagna...
G.D.M. Quando andava in Bretagna, andava con la sua machinetta, la 2 cavalli.
P.H. Aveva nostalgia della Francia ?
G.D.M. No, mai. Non me ne parlava mai ... tranne che per la madre. E’ venuta diverse volte. Era uguale a lui!
P.H. Mi puoi parlare della FIAC (36) del 1982 ?
G.D.M. Quella fu un esperienza indimenticabile! Le altre gallerie che esponevano lì assicuravano le opere, le incorniciavano, facevano bellissimi allestimenti. Con Jean-Pierre prendemmo una cartella, la riempimmo di fogli e partimmo così. Alla dogana facemmo finta di niente e arrivammo alla FIAC in una maniera... diciamo ... un po’ avventurosa, no? Lì, c’era un amico di Jean-Pierre, il proprietario di una Galleria d’arte, l’Oeuf de Beaubourg37, un tipo molto simpatico, assolutamente pazzo. Mi chiese quali fossero i prezzi di Velly. Glieli dissi e lui rispose: “Non ne venderai nemmeno uno!”
P.H. Perché erano troppo care ?
G.D.M. Secondo lui, sì. E io dissi: “Pazienza!” con la mano sul cuore. Avevamo questo piccolo stand e fu un successo ... clamoroso! Le vendemmo tutte. La cosa divertente, non mi ricordo bene il perché, fu che i clienti non pagavano con gli assegni, ma con i soldi contanti e dicevano: “Contateli!”, ma noi rispondevamo : “Si figuri!”. Poi, quando se ne andavano, dietro lo stand li contavamo! Fu un esperienza bellissima! Vendemmo anche quadri al grande gallerista francese Claude Bernard (38). Fu lì che Ettore Gian Ferrari (39), il padre di Claudia - la quale attualmente ha le redini della galleria - vide le opere per la prima volta e fu molto colpito, tant’è vero che organizzò una mostra pochi anni dopo.
P.H. E la Galleria Forni (40)?
G.D.M. Sì, fecero anche loro una mostra.
P.H. Parlami della mostra alla Galleria San Severina ?
G.D.M. La San Severina era una bella galleria di Parma, diretta da un personaggio che in realtà non ho mai amato. Capisco il rapporto con il denaro, ma lui c’è l’aveva in una maniera esagerata. Però organizzò una grande mostra, fece un bel catalogo e per questo gli sono stato grato. Poi era nel cuore di Barilla, a Parma... Ci fu una cena a casa di questo direttore, fuori città; venne anche Sgarbi41 e come al solito fece la prima donna. Fu la prima volta che vidi Velly incavolato con Sgarbi, perché gli toglieva la sua centralità. Questa era una serata per lui. Arrivando Sgarbi, con i suoi modi un po’ vistosi, aveva distratto ... allora Jean-Pierre si arrabbiò moltissimo ! (ride)
P.H. Ma Velly stimava Sgarbi perché il testo che scrisse su di lui è davvero...
G.D.M. Molto bello ! Andammo con Sgarbi a Formello più volte... però dopo non si diede seguito alla cosa ... non so dirti perché.
P.H. Di questi critici d’arte, chi era il più vicino a Velly? La Trucchi (42), la Volpi (43) ?
G.D.M. Sì tutti un po’, ma anche Gianfranceschi (44) e Moravia! Con Moravia siamo stati più di una volta a cena a Formello. Velly aveva un ottimo rapporto con tutti loro. Ma non di più insomma.
P.H. Mi puoi raccontare il giorno della sciagura ?
G.D.M. Lo faccio con molto sforzo. Mi telefonò il figlio ... ma preferirei non parlarne... Con la sua morte in me ci fu una specie di cesura, di rottura con il mondo dell’arte. Non era più la stessa cosa... Al suo funerale, c’era tutto il paese di Formello, amici venuti da fuori: un chiaro segno che lui era molto amato. Successivamente alla sua morte, poi, proprio perché è avvenuta in queste circostanze così particolari e misteriose, molti si sono rifiutati di credere che lui fosse morto. E attorno a questa incredibile storia sono nate delle piccole leggende: ogni tanto c’era qualcuno che diceva di averlo visto da qualche parte… Succede abbastanza spesso. Molte persone non accettano la morte e si inventano delle alternative... che non ci sono. Però è sconvolgente pensare che tutte le modalità sono scritte nei suoi quadri, nelle sue incisioni. Sai, lui ha bussato più volte alle porte della morte... ad esempio, c’è l’autoritratto che tu hai - quello della mano sinistra - che è proprio un bussare alle porte della morte.... E dai e dai la morte alla fine le ha aperte! Secondo me, lui era abbastanza contento che questo avvenisse. Perché ti liberi dal peso del dolore. Adesso ti ripeto, non so se lui avesse avuto un qualche rapporto con il Padre Eterno. La vita senza il Padre Eterno è una pazzia. Se tu non credi al Padre Eterno, rimani nel quotidiano, una cretinata, no? Comunque per lui era diventato faticoso. C’è il racconto di Jean-Pierre, “Quando il bambino guarda la montagna”, straordinario...
P.H. Peccato ne non abbia scritto di più...
G.D.M. Avrebbe veramente potuto scrivere delle cose meravigliose ...ma sai, era così...
P.H. Parlami del ritratto che ti fece...
G.D.M. Venne a Castelnuovo di Porto, non voleva fare il ritratto a Formello, voleva riprendermi nel posto dove vivevo, per cui è venuto spesso.
P.H. Il ritratto è stato fatto in più sedute?
G.D.M. Sì, queste sedute erano meravigliose perché ero obbligato a guardarlo. Adesso sembrerà un'esagerazione, ma mi sembrava vedere un sacerdote che dicesse messa. C’era una tensione, aldilà dei nostri rapporti... Quando hai un rapporto di questo tipo, venendo a mancare l’altro, non è facile o possibile sostituirlo.
P.H. Grazie mille Giuliano per il tuo ricordo su questo straordinario artista e uomo che fu Jean-Pierre Velly.
Giuliano e Pierre, 2006
un ringraziamento a Benedetta Scatafassi per la collaborazione al testo
1 Renzo Vespignani (1924-2001), pittore e incisore, fu uno dei fondatori del movimento Il pro e il contro, assieme a Piero Guccione, Ugo Attardi, Ennio Calabria, Giuseppe Guerreschi e Alberto Gianquinto.
2 Ugo Attardi (1923-2006) è stato pittore, scultore ed incisore. Nel 1948, insieme ad altri artisti (Carla Accardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Concetto Maugeri, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato) dà vita al movimento Forma 1. Si dedicherà poi alla pittura figurativa col movimento Il pro e il contro.
3 Mario Lattes (1923-2001) è stato un noto pittore, scrittore ed editore torinese. Oggi c’è una fondazione dedicata alla sua opera.
4 Alberto Moravia (1907-1990), famoso scrittore italiano, era cugino di primo grado di Giuliano de Marsanich.
5 Renato Guttuso (1911-1987) era un noto pittore della scuola romana. Rifiutato ogni canone accademico, con le figure libere nello spazio o la ricerca del puro senso del colore, Guttuso s'inserisce nel movimento artistico “Corrente”, che con atteggiamenti scapigliati s'oppone alla cultura ufficiale e denota una forte opposizione antifascista.
6 Corrado Cagli (1911-1976). Nel 1932 aderì alla «scuola romana» accogliendo poi suggestioni da De Chirico, Ernst e Klee. La sua Battaglia di San Martino e Solferino è esposta per intero dal 1983 alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
7 Mino Maccari (1898-1989) è stato scrittore, pittore, incisore, giornalista e disegnatore satirico. Per la sua opera pittorica ricca di evidenti accentuazioni cromatiche e pennellate veloci, il disegno violento unito al tratto vivo del segno grafico delle sue incisioni, viene riconosciuto dalla critica artista completo.
8 Albin Brunovsky (1935-1997) è stato incisore e pittore della scuola del fantastico; fu anche professore all’Accademia di Bratislava.
9 Jiri Anderle (1936, Pavlikov, Boemia) è un noto incisore, attivo a Praga. Gode di una fama internazionale.
10 Martin Cinovsky (1953) fu l’allievo di Albin Brunovsky all’Accademia di Bratislava. Incisore, si è specializzato nel francobollo e nelle banconote; è il capo del dipartimento di grafica all’Accademia di Bratislava, dove vive e lavora.
11 Ernst Fuchs è nato a Vienna nel 1930. Pittore, incisore e architetto di fama internazionale, un museo a lui dedicato si è inaugurato a Vienna nel 1988.
12 Giorgio Bassani (1916-2000). Durante gli anni della guerra partecipò attivamente alla Resistenza e conobbe anche l’esperienza del carcere; nel 1943 si trasferì a Roma. Fu solo dopo il ’45 che si dedicò all’attività letteraria in maniera continuativa, lavorando sia come scrittore (poesia, narrativa e saggistica) sia come operatore editoriale: fu proprio lui ad appoggiare presso l’editore Feltrinelli la pubblicazione de Il gattopardo. Raggiunse il grande successo di pubblico con Il giardino dei Finzi Contini (1962). Bassani ha lavorato anche nel mondo della televisione, arrivando a ricoprire il ruolo di vicepresidente della Rai.
13 Bernardo Bertolucci (1941) è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano. La grande notorietà arriva nel 1972, con un film "scandaloso": Ultimo tango a Parigi. Seguiranno Novecento (1976), L'ultimo imperatore (1987), Il tè nel deserto (1990), Piccolo Buddha (1993), Io ballo da sola (1996). Nel 2007 riceve il Leone d'Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia.
14 Luca Canali (1925) è un latinista e scrittore italiano. In gioventù si occupò per dieci anni di politica nell'estrema sinistra e, successivamente, si diede all'insegnamento universitario. Fu redattore e condirettore del "Contemporaneo". Ha collaborato anche con Nuovi Argomenti, Il Verri e Paragone di Roberto Longhi e Anna Banti. Dal 1981 si è occupato della stesura di vari testi di diverse forme letterarie, tra cui il romanzo.
15 Ugo Tognazzi (1922-1990) è stato un attore, regista, sceneggiatore teatrale, cinematografico e televisivo. Fu uno dei più grandi “mattatori” della commedia all'italiana.
16 Domenico Petrocelli, nato a Sarconi (Potenza), ha svolto, prima di dedicarsi alla pittura, un'intensa attività giornalistica soprattutto per Il Tempo. Ha conosciuto Velly mentre scriveva sulle Accademie straniere di Roma (1969) e l’ha aiutato molto nelle fasi successive della sua permanenza a Formello.
17 Giorgio Morandi (1890-1964) è stato un pittore e incisore bolognese. Fu uno dei protagonisti della pittura italiana del Novecento ed è considerato tra i maggiori incisori mondiali del secolo. La sua pittura si può definire unica e universalmente riconosciuta; celebri le sue nature morte, dove la luce rappresenta il fondamento delle sue opere. L'apparente semplicità dei contenuti (vasi, bottiglie, ciotole, fiori, paesaggi) viene esaltata dalla qualità pittorica.
18 Giuseppe Viviani (1898-1965) è stato un pittore e un incisore notevole. Soprattutto nell'incisione raggiunse risultati eccezionali, tra i maggiori del Novecento italiano (accanto a Giorgio Morandi e Luigi Bartolini), trasformando in originali immagini la sua personale visione del mondo, con una particolare predilezione per la vita del litorale pisano che ben conosceva. L'arte di Viviani è improntata ad una visione malinconica e decadente della vita, ed allo stesso tempo ad un grande amore per la vita stessa. Con un segno lineare, essenziale ed una raffinata perizia tecnica, l'artista si è mosso tra un ingenuo immaginario popolaresco e la meditata ricerca di immagini della memoria, ricreando un mondo venato di profonda emotività e percorso da aperture metafisiche ricche di allusioni, suggestioni e significati.
19 Luigi Bartolini (1892-1963) è stato un pittore, scrittore, poeta, critico d'arte, ed incisore. Il suo stile si riallaccia alla tradizione naturalista italiana dell'Ottocento guardando al contempo le stampe di Rembrandt, Goya, Telemaco Signorini, Giovanni Fattori e degli incisori del Settecento italiano.
20 Tristan Corbière, poeta bretone (1845-1875), fa parte dei “poeti maledetti” di Verlaine, assieme a Rimbaud, Nerval e Mallarmé. Il catalogo “Velly pour Corbière” viene pubblicato per la mostra nel 1978.
21 Mordechai Moreh, nato a Baghdad nel 1937 è incisore e pittore, attivo a Parigi. Il loro incontro ebbe luogo alla Scuola delle Belle Arti di Parigi nel 1965. Fa parte degli artisti visionari. cf http://www.velly.org/Moreh.html
22 Erik Desmazières (nato a Rabat nel 1949) è incisore attivo a Parigi. Ha tenuto numerose antologiche museali (Amsterdam, Rembrandthuis; Musée Jenisch, Vevey; Musée Carnavalet, Parigi). E’ stato recentemente eletto membro dell’Accademia delle Belle Arti di Francia. cf http://www.velly.org/Erik_Desmazieres.html
23 Yves Doaré, nato in Bretagna nel 1943, come Velly, è incisiore e pittore. E’ attivo a Quimper, Bretagna. Allievo di Jean Delpech - assieme a Rubel e Mohlitz, fa parte della scuola francese del fantastico. http://www.velly.org/Yves_Doare_ses_gravures.html
24 Jacques Le Maréchal è nato a Parigi nel 1928; autodidatta, comincia a incidere negli anni ’50 e si lega con André Breton e Gaston Bachelard. Personaggio atipico, Velly lo ammirava molto. cf http://www.velly.org/Le_Marechal.html
25 Piero Guccione nasce a Scicli nel 1935. E’ considerato uno dei maggiori artisti italiani contemporanei.
26 Pedro Cano nasce a Blanca, Spagna nel 1944. Dopo gli studi a Madrid, fu borsista dell’Accademia di Spagna a Roma alla fine degli anni ’60. Pittore e acquerellista, ha esposto in numerosi musei in Italia e in Spagna. Vive e lavora ad Anguilara, vicino Roma.
27 Edo Janich è nato a Pordenone nel 1943. Assistente di Ugo Attardi a Roma negli anni ’60, conobbe Velly nel 1972; incisore e scultore, è attivo oggi a Palermo.
28 François Lunven, incisore e pittore, si sono conosciuti con Velly a Parigi nel 1965. Personaggio stralunato, si buttò dalla finestra dello studio nel 1971. Aveva solo 29 anni. Velly era il suo esecutore testamentario. cf http://www.velly.org/Francois_Lunven.html
29 la secondogenita di Jean-Pierre e Rosa Velly
30 Lucio Mariani, poeta e scrittore, fondatore della rivista “Poesia”, dirige un importante studio di commercialisti a Roma.
31 Il catalogo ragionati di Velly nel 1980, curato da Didier Bodart, Edizioni Vanni Scheiwiller, assieme a Sigfrido Amedeo della Galleria Transart (Milano), primo gallerista di Velly a cui fece la mostra con catalogo nel 1969. http://www.velly.org/Catalogues.html
32 Giorgio Soavi (1923-2008), è stato un poeta e romanziere appassionato di arti figurative. Intimo amico di Alberto Giacometti dal 1962, ha curato libri, servizi fotografici e un film sull’artista svizzero. Fu consigliere artistico per l’Olivetti e anche per Pietro Barilla. http://www.velly.org/Soavi_fiori_inverno_Elli.html
33 Pietro Barilla (1913-1993) presidente del Gruppo Barilla, è stato un collezionista importante. La sua raccolta contiene opere significative di Bacon, Bocklin, Burne-Jones, Ensor, Boccioni, de Chirico, Ernst, Magritte, Manzu, Marini, Moore, Morandi, Music, de Pisis, Permeke, de Stael, Sutherland... La mostra restrospetiva di Villa Medici (1993) è a lui dedicata.
34 Raymond Queneau (1903-1976) è stato uno scrittore, poeta, matematico e drammaturgo francese.Per un breve periodo Queneau abbracciò il movimento surrealista di Breton, rimanendo folgorato dalle possibilità espressive di quell'avanguardia. Fu nel 1960 uno dei fondatori il gruppo di ricerca letteraria Oulipo (Ouvroir de Littérature Potentielle, Laboratorio di Letteratura Potenziale) e fu anche membro del Collegio di patafisica. Divenne famoso in Francia con la pubblicazione nel 1959 del romanzo Zazie dans le métro e con il successivo adattamento cinematografico di Louis Malle del 1960 ai tempi della nouvelle vague della cinematografia francese. Queneau approfondì ancor di più la matematica per farne uso come sorgente di ispirazione in ambito letterario.
35 Reinhold Kersten (1932-2007), appassionato d’incisioni - a cui dobbiamo il primo catalogo ragionato di Philippe Mohlitz - e la moglie Heide erano grandi amici di Velly e possiedono molte incisioni dell’artista.
36 FIAC: Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea di Parigi, la fiera annuale d’arte più quotata di Francia
37 Roberto Garcia-York (La Avana 1925- Parigi 2005) è stato anche pittore e costumista, famoso a Venezia durante il Carnevale. Aveva esposto Velly nella sua Galleria nel 1976.
38 La Galleria Claude Bernard, fondata a Parigi nel 1957 è fra le gallerie più note al mondo. Ha esposto nel largo di cinquant’anni opere o mostre di Bacon, Bonnard, Bourdelle, Cartier-Bresson, Giacometti, Guccione, Hockney, Janssen, Matta, Morandi, Music, Picasso, Szafran, Tubke, e Wyeth.
39 La Galleria Gian Ferrari è una delle più importanti gallerie storiche d’Italia, sita a Milano. E’ stata fondata nel 1936 da Ettore Gian Ferrari.
40 La Galleria Forni è una delle più importanti gallerie storiche d’Italia, sita a Bologna. Dal 1967, su oltre trecento mostre allestite è doveroso ricordare quelle di Afro,Fabrizio Clerici, Giorgio De Chirico,Otto Dix, Lucio Fontana, Allen Jones, Jean Robert Ipousteguy, Marino Marini, Fausto Melotti, Giorgio Morandi, Ennio Morlotti, Ben Nicholson, Graham Sutherland, Werner Tubke, Andrew Wyeth. Velly fece la mostra nella loro sede di Amsterdam nel 1976.
41 Vittorio Sgarbi è nato a Ferarra nel 1952. Si è laureato in filosofia con specializzazione in storia dell'arte all'Università di Bologna. E’ storico dell’arte, critico, e giornalista. Già Sottosegretario al Ministero dei Beni Culturali, oggi Vittorio Sgarbi ricopre il ruolo di Assessore alla Cultura del Comune di Milano ed è il curatore delle più importanti mostre d’arte sul territorio italiano. Il suo saggio Velly oltre Velly ovvero la speranza del niente è stato pubblicato nel 1988 dalle edizioni Don Chisciotte.
42 Lorenza Trucchi (1922), critico d’arte e giornalista, ha scritto numerosi libri su artisti del Novecento (Jean Dubuffet, Francis Bacon, Vesignani, Pedro Cano...) E' stata commissario del Padiglione Italia della Biennale di Venezia nel 1982. Ha fatto parte della Commissione Esperti del Settore Arti Visive delle Biennali di Venezia nel 1988 e nel 1990. Ha tenuto la cattedra di storia dell'arte presso le Accademie di Belle Arti di L'Aquila e di Roma dal 1969 al 1994. Dal settembre 1995 al giugno del 2001 è stata presidente dell'Esposizione Nazionale Quadriennale d'Arte di Roma.
43 Marisa Volpi (1929) ha insegnato storia dell’arte contemporanea all’Università di Cagliari e all'Università La Sapienza di Roma. Nel corso della sua carriera di storica dell'arte, iniziata a Firenze come allieva di Roberto Longhi, ha studiato la pittura italiana del Settecento, per poi rivolgersi all'arte contemporanea con studi su Kandinskij, Mondrian, l'arte americana, l'Espressionismo, l'arte russa della Rivoluzione, il Simbolismo in Francia, Germania e Inghilterra... Il suo metodo di analisi della pittura indaga quel complesso legame fra la morfologia dello stile di un artista e i contenuti dell'immagine, catturati entrambi all'interno della biografia individuale e della storia della cultura. Dal 1978, all'attività di storica, affianca quella di scrittrice. Numerosi suoi racconti hanno per tema episodi delle vite di artisti.
44 Fausto Gianfranceschi (1925) è ben noto come saggista e narratore, ha pubblicato alcuni romanzi in cui viene magistralmente riflessa la società italiana della seconda metà del Novecento, dagli anni del boom fino al dopo tangentopoli. Fra questi segnaliamo: Diario di un conformista (1965), L'ultima vacanza (1972), Giorgio Vinci psicologo (1983) e il libro di racconti La casa degli sposi (1990) dove racconta un suo incontro con Velly.
Il giornale Il Cassetto mi ha concesso gentilmente di pubblicare una intervista al gallerista Giuliano de Marsanich, proprietario della Galleria Don Chisciotte di Roma.
Confessioni di un gallerista
Cosa è cambiato dagli anni Sessanta ad oggi. Non solo nel mondo dell’arte.
Pinocchi, burattini, soldatini si affacciano dalle vetrine e attirano i passanti nella piccola galleria Don Chisciotte, A Roma, in Via Angelo Brunetti vicino Piazza del Popolo, nata nel ’62 e sopravissuta ai mutamenti della città fino ad oggi. Sono esposti antichi giochi, teatrini, incisioni, quadri e molte sculture in cartapesta del proprietario Giuliano de Marsanich che ama rappresentare Don Chisciotte a cavallo. Un’intervista al gallerista per capire com’era l’arte negli anni ’60 e come è cambiata.
Da 45 anni qui sono passati tanti artisti come Turcato, Vespignani, Maccari. Quali dei tanti artisti ricorda con più affetto?
Ho avuto un grande amore per Mario Mafai che considero un artista di alta qualità pittorica e poetica. Allora era un mondo dove il denaro non aveva vinto, quindi esistevano delle anime gentili che dipingevano quadri per amore, passione. La maggioranza degli artisti erano e vivevano come poeti. In seguito purtroppo la realtà si è modificata, il mercato dell’arte è diventato di denaro e molti artisti hanno replicato le loro opere per guadagnarci sopra. Tra gli anni ‘60 e ‘70 fu un periodo molto affascinante, perché esisteva un senso della comunità. C’erano dei bei posti a Roma dove ci si incontrava. Uno era il Ristorante Menghi a Via Flaminia dove Turcato, Guttuso, Mafai andavano continuamente. L’oste ebbe la saggezza o l’astuzia di non farsi pagare i pranzi e dopo un mese o due riceveva un quadro, così ebbe una collezione molto bella. C’era il Cesaretto a Via della Croce dove andavi ed eri sicuro di trovare almeno dieci amici, per cui le persone in qualche modo sole vivevano un rapporto bello con le altre. Poi la società si è modificata, non sempre in meglio, fino ad arrivare a delle forme di alta distruzione. Quando un paese splendido come il nostro massacra le sue spiagge per costruire delle case, massacra se stesso. Uccide la sua anima. Questa distruzione è capitata un po’ per tutte le cose. Mi ricordo incontri, dibattiti su un certo libro che usciva. Oggi ha stravinto un individualismo becero, il piccolo egoismo. In politica le grandi ideologie sono scomparse, mentre allora le spinte ideali erano molto forti.
Non posso credere che questi atteggiamenti non esistevano prima...
Nel mondo ci sono sempre stati, ma oggi ormai sono obbligatori. Se vuoi fare carriera in banca devi scavalcare il tuo collega. Negli anni ‘60 c’era una carica spirituale molto forte che poi si è rivelata inesistente. C’è stata una grande trasformazione: la società italiana fino a quell’epoca era prevalentemente contadina, circa il 50 per cento degli italiani viveva di agricoltura, quindi in condizioni igieniche e culturali disastrose. Interi paesi anche a 20 km da Roma non avevano la luce, non c’erano farmacie, scuole. Il nostro paese negli anni ‘50 era un paese di miserabili. Molti dei nostri concittadini sono emigrati in Svizzera, in Germania, in America. Mano a mano i valori si sono modificati, l’egoismo ha avuto il sopravvento. Questo perché nel nostro paese non c’è un senso di comunità forte, ma un senso del gruppo familiare in cui succedono poi le cose più orribili, reati, abusi sessuali, violenze. Si guarda alla propria casa o al proprio paesino, non c’è il senso dello Stato. Questo per delle ragioni molto precise tra cui l’ingerenza profonda della Chiesa cattolica che ha rotto ogni possibilità di concetto unitario. Roma prima del 1870 aveva circa la metà della popolazione che viveva in maniera parassitaria, di elemosine, di prostituzione. Poi ci fu la grande illusione del socialismo, del comunismo. Milioni di persone hanno creduto a questi grandi ideali poi il “giochetto” gli si è spaccato tra le mani. Ci fu la grande speranza che la nostra società diventasse una società giusta e una serie di artisti e registi di cinema dopo il disastro della guerra cercarono di esprimere questa tensione.Renzo Vespignani era giovane nel ‘44-’45 e seppe esprimere un grande desiderio di cambiamento in una società più egualitaria. Fece incisioni e dipinti molto belli e affascinanti. Poi la società gli è cambiata sotto le mani. Quelli che erano quartieri periferici ora sono quartieri centrali. De Sica e Rossellini, dopo aver creato prodotti cinematografici di altissimo livello, non hanno più potuto rappresentare questa società nuova. Un artista è importante per me quando rappresenta un afflato comunitario, quando la sua anima e il suo sentimento coincidono con il sentimento e l’anima degli altri. Oggi non mi sembra ci siano fenomeni di questo tipo. In 45 anni ho trovato un solo personaggio che ha saputo resistere alla corruzione che è Jean-Pierre Velly. C’era un’identità meravigliosa, in qualche modo santa nel senso laico della parola, tra quello che dipingeva e la vita che conduceva. Al contrario abbiamo assistito a fenomeni grotteschi come ad esempio Guttuso. Questi dipingeva un quadro che rappresentava degli operai, ma un operaio ci metteva cinque anni di salario per poter comprare quel quadro che veniva acquistato dal padrone. Certi ceti popolari sono stati ingannati. C’era un coro socialista, ma i suoi rappresentanti vivevano come i peggiori borghesi che a parole dicevano di combattere. Oggi si vede anche in maniera più vistosa: politici che hanno combattuto contro Agnelli vivono come lui. C’è un malessere profondo molto diffuso ed è grave che non sia sentito solo dai vecchi ma molto dai giovani. Un pessimismo molto forte, ragazzi che non hanno fiducia nell’avvenire e si rifugiano in rituali grotteschi come il sabato sera nelle discoteche fino alla mattina con musiche assordanti.
Era un mondo più puro negli anni ‘60?
Sì, nonostante fosse un mondo ipocrita e ferocemente classista. Quando ero giovane c’erano donne di servizio prese dai paesi, pagate pochissimo, trattate con disprezzo, oggetto sessuale dei padroni e dei figli. Una volta le donne di paese andavano a lavare i panni nelle lavanderie comunali con l’acqua fredda e avevano le mani massacrate dai geloni. Ora ci sono le lavatrici. In molti aspetti il mondo è migliorato, in altri ha pagato un pedaggio terribile nel consumismo. La maledizione di vivere è finita nel nostro paese, almeno in gran parte, però ha innestato un meccanismo feroce per cui una persona vuol comprarsi automobili o orologi costosissimi. Si è perso il senso della realtà della vita e per ottenere questi oggetti materiali si lavora di più e si ruba di più. Al sud in certe zone si trova la povertà vera, ma mentre prima tutti credevano nel comunismo, oggi non ci crede, fortunatamente, più nessuno. Io ho avuto la fortuna di avere un lavoro che mi ha fatto fare una vita molto gradevole, non ho scheletri nell’armadio, forse non ho neanche l’armadio per la verità…. Ho avuto incontri d’amore molto belli, due figli che amo, poi c’è la disperazione della vecchiaia, si diventa repellenti e si finisce con la morte, una presa per i fondelli straordinaria. Questa grande avventura che è la vita dove c’è chi fa la guerra, chi si sposa, chi fa la caccia, la pesca. Poi si muore tutti. Una grande buffonata. In Europa ci sono più di 50 anni di pace generale, ma nel mondo ci sono 30-40 guerre che neanche conosciamo. E’ una specie di destino permanente dell’umanità, ci siamo sempre massacrati in maniera crudele.
Altri artisti che ricorda?
Mino Maccari che oltre ad essere un artista notevolissimo, era un uomo di grande cultura e ironia. I suoi dipinti erano molti umani. Per anni ho anche curato presentazioni di libri di poesia, c’erano Alberto Moravia, Giorgio Bassani.
Non era una cultura aristocratica?
No, era elitaria, ma necessariamente. Uno ha sempre nostalgia perché era più giovane. Ma sono stati anni molto caldi e fervidi.
Alice Calabresi13/09/2007