1966
Journal toulonnais: Encore un succès pour le graveur toulonnais, Pierre Velly (sic), avril 1966
Journal toulonnais: Un toulonnais futur Prix de Rome ? avril 1966
Journal toulonnais: La carrière de Jean-Pierre Velly s’annonce féconde, août
Un christ Renaissance restauré par J.-P. Velly, grand prix de Rome, in « Le Télégramme», Quimper, 10 novembre.
1968
Gilles Quéant, Dans le calme de I’Académie de France, les prix de Rome ont trouvé la liberté, in « Plaisir de France », a. 34, n. 351, Parigi, gennaio, p. 8. (en français)
Waldemar George, Un visionnaire de la jeune gravure, Jean Velly, in « Plaisir de France », a. 34, n. 351, Parigi, gennaio, pp. 43- 45 (rip. in Jean-Pierre Velly. Incisioni: acquaforte, bulino, puntasecca, catalogo della mostra, Galleria Transart, Milano, 1969). Waldemar George (riprodotto nel catalogo della Galleria Transart, Milano, 1969)
JEAN-PIERRE VELLY: Tra i giovani incisori, un visionario
Formatosi alla Scuola di arti applicate e in seguito alle Belle Arti di Parigi, primo premio per l’incisione al « Grand Prix de Rome » del 1966, Jean Velly si afferma a 24 anni come uno degli incisori più dotati e più originali della sua generazione in un campo che egli giudica proprio della sua arte: quello dell’immaginario e del fantastico.
Nel giugno del 1966, Jean Velly si vede assegnare il primo premio per l’incisione al « Grand Prix de Rome ». Questo artista fuori serie, che ormai lavora in Italia e che ha sotto gli occhi i paesaggi ispirati del Lazio, e un visionario orientato verso il Nord. Le sue incisioni al bulino di enigmatica sapienza, di una tecnica raffinata, rivelano la sua filiazione.
Si possono scoprire nelle sue pagine certe similitudini con la scrittura grafica di Marcantonio. Può aver messo a profitto la lezione di Bresdin. Ma i suoi modelli sono Dürer e Cranach, Altdorfer e Seghers. Se invoca Jérome Bosch e Breughel e perché l’irrealtà di questi auguri lo attira.
ll premio attribuito a Velly dalla giuria della Scuola di Belle Arti, areopago di cui fanno parte d’ufficio membri dell’« Istituto », attesta l’evoluzione dell’Accademia di rue Bonaparte. Qualche anno fa una scelta simile era inconcepibile. In effetti, Velly non si limita a ricevere la fiaccola degli antichi maestri e ad imitarli. Egli adatta il loro retaggio a fini originali. Crea un proprio universo. Solo un «chierico » è in grado di restituire alla luce le proprie origini. Il suo dialogo con la storia dell’arte porta il marchio di un uomo del XX secolo. I suoi mutamenti di struttura saranno messi in parallelo con quelli di Tanguy, di Giorgio De Chirico e di Oscar Dominguez.
Velly elabora uno spazio onirico che si allontana dalla norma. L’estensione e trattata da questo incisore il cui « doppio » è un taumaturgo, come una materia duttile. Le regole di un’arte classica, presunta intangibile, sono violate o almeno trasgredite. Una realtà adeguata ai principi che reggono il meccanismo dell’occhio fa posto, in questi miraggi che sono le strane tavole di Jean Velly, ad una prospettiva che ha la qualità della molteplicità.
Ogni elemento della composizione ha una prospettiva propria e questa pluralità di punti focali permette all’artista, questo sognatore dagli occhi ben aperti, di tradurre l’invisibile al di là del visibile.
Jean Velly sembra sfidare le leggi della natura. Le forme vegetali e quelle meccaniche, le forme antropomorfe e quelle minerali si affrontano e si aggrovigliano, si incrociano e si confondono. In questo impero bizzarro costruito con ogni sorta di elementi, rocce di uno stile geometrico si mutano in teste mostruose. Brandelli raggruppati in maniera arbitraria assumono l’aspetto di macchine infernali o di macchine volanti. Esseri umani, che sono scorticati, corpi rosi dai vermi, antichi marmi le cui interiora sono fatte di ingranaggi di cordami di tubi di bielle e di pulegge, e dee della fecondità, simboli della terra-madre, animano un regno sorto dallo spirito chimerico di un poeta.
Le immagini di Velly e il loro ordito plastico non possono essere dissociati, Esse concorrono ad un effetto d’assieme e marchiano così l’unita interiore di un’opera che sfugge alla misura comune.
Villa Médicis à Rome, catalogo della mostra, Petit Palais, Parigi
1969
Giorgio De Marchis, Le Mostre, in «L’Espresso », a. XV, n. 24, Roma, 15 giugno, p. 43.
“Quei nudi femminili, così bene idealizzati e fluenti nella linea, sono sorelle delle eve e delle veneri del rinascimento nordico; ma sono anche, se non creature, sogni di oggi, proiezioni della fantasia e del sentimento di un olimpo subito smitizzato e rivisto con crudele occhio scientifico. Dietro la perfetta immagine della dea, spaccata e aperta come un modello per scuola automobilistica, la macchina del corpo senza più misteri, visceri, vene e muscoli che sono anche ingranaggi, tubi e leve. La fuga e il ritorno, la grandezza della natura e le sue servitù, che sono poi anche quelle della psiche. Velly usa il bulino, l’acquaforte e la puntasecca, separatamente e associati, con eguale talento; rompe la prospettiva e moltiplica i punti di vista. Innalza i mitici paesaggi dei mucchi di rifiuti, ed in almeno un’occasione (il grande Paesaggio d’auto) usa la luce e lo spazio in modo da meritare gratitudine”.
Riccardo Barletta, Giovane d’oggi che vive ieri, in «L’Avvenire», Milano, 27 giugno.
Il presentatore Waldemar George indica maestri o modelli di Velly nientemeno in Dürer e Cranach, Altdorfer e Seghers, e i suoi numi in Bosch e Bruegel. Lo spettatore potrà rendersi conto non solo dell’alta maestria tecnica del giovane incisore, ma soprattutto della sua perfetta adesione (sia linguistica che emotiva) alla lezione dei grandi maestri citati.
Ci si può ricollegare al passato, o essendone eredi, o imitandolo. Il nostro non è nè l’uno, nè l’altro caso. Con espressione del Panofsky direi che siamo invece di fronte ad un pathos della lontananza. Velly riconquista infatti uno stile e una moralità, che sembrano antistorici, solo perché ambedue esprimono ormai anche oggi una situazione di travaglio, che si è fissata nella cultura come qualche cosa di tipico e di permanente. Il pathos sta nel suo amore umanistico, non in un ricupero, la lontananza sta nel significato attivo che hanno talvolta le assenze, più che le presenze.
Hansiurg Brunner, Ausstellung J. P. Velly, catalogo della mostra, Anlikerkeller, Berna
1970
Domenico Petrocelli, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galerie Toni Brechbuhl, Grenchen (rip., riveduto, con il titolo Jean-Pierre Velly un erede di Dürer, in “II Tempo”, Roma, 4 aprile, 1971).
Paolo Ricci, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria d’Arte di San Carlo, Napoli.
1971
Paolo Ricci, La natura dopo una catastrofe, in «l’Unità», Roma, 3 gennaio.
II motivo che ricorre con più insistenza nell’opera di Jean-Pierre Velly è la natura vista come dopo una catastrofe biblica (o atomica): un immane e disordinato ammasso di personaggi colti in atteggiamenti e nei gesti banali di ogni giorno, mescolati, in modo inateso ed assolutamente imprevedibile, a strutture contorte, a ingranaggi meccanici, a oggetti e strumenti della più dimessa e sordida quotidianità, impastati tra loro e in via di decomposizione, come in un mondo sconvolto, appunto, da un evento apocalittico. Queste immagini non hanno nulla di didascalico o di moralistico, sono, per così dire, «innocenti», evocate come per caso o per gioco, il che rende più crudele e sinistro il loro significato ammonitorio.
In questo gioco apparentemente gratuito si inseriscono elementi di bruciante attualità: simboli e metafore inerenti il mondo contemporaneo, la condizione dell’uomo nella società dei consumi (il suo corpo va in putrefazione insieme agli oggetti che la società consumistica gli impone), l’idolatria della macchina e della velocità, il genocidio e la violenza distruttrice. Lo stesso corpo umano è visto come un congegno, degradato a strumento meccanico, che si può scomporre e ricomporre come un motore.
La cultura figurativa di Velly non ha nulla di archeologico, di accademico, è invece profondamente radicata nelle esperienze più valide dell’arte moderna: Dada, il Surrealismo, la simultaneità futurista e anche il cinema.
Tutte queste indicazioni non devono trarre in inganno: le sue opere dimostrano come egli operi sempre in piena libertà ed autonomia, componendo, in una sintesi superiore, varie e contrastanti esperienze dell’arte antica e moderna, esaltandole e superandole”.
Virgilio Guzzi, Un incisore raro, in “II Tempo”, Roma, 4 gennaio.
Jean-Pierre Velly alla Galleria Don Chisciotte, in “Il Poliedro”, Roma, gennaio-febbraio.
Virgilio Guzzi, Velly incisore prodigio, in «Il Tempo», Roma, 23 marzo.
Dario Micacchi, L’Apocalisse secondo Velly, in «l’Unita», Roma, 25 marzo.
Around the Galleries in Rome, in “The Herald Tribune”, Parigi, 27-28 marzo.
D. M. [Duilio Morosini], Velly: la morte e il diavolo, in «Paese Sera», Roma, 1 aprile.
“Velly è tutto meno che un facitore di «falso antico». Gli si possono fare, se mai, radicali obiezioni di natura ideologica, ma dando sempre per scontata la sua prerogativa di rivivere davvero il passato: con fervidissima intelligenza e ad un alto grado di emotività.
Velly è un visionario, che coinvolge tutta la propria cultura nella tensione ideale (e psichica) da cui è posseduto. Prendete, per esempio, un’acquaforte come quella che egli chiama Paesaggio con macchine. Ebbene, ecco delle macchine (carrozzerie contorte, divelte, schiacciate di vetture od autobus) che dovrete andare a cercare colla lente di ingrandimento nell’anfratto nel quale l’autore le ha precipitate.
Carcasse di ferro come sparse ossa (cimitero di «elefanti», non di automobili) da scoprire pezzo per pezzo nel contesto di una natura che le sovrasta, le disperde, le divora. Quello di una vallata, piuttosto «infernale», vista a perdita d’occhio, ma esplorata tuttavia da uno sguardo e da una mente, che, ben lungi dall’arrendersi all’inafferrabile, appaiono mossi dall’assillante, ossessiva ricerca del detta ho: bosco, sottobosco, tronco, ramo, foglia, virgulto.
Certo, il fatto che un simile contesto, quel mucchio di macchine distrutte diventi una metafora della fine di ogni cosa, della materia che ritorna alla materia, va dato per scontato, in Velly. Come va data per scontata la stretta parentela di quel formicolio di dettagli con gli assilli, ottici e mentali, leggibili nelle foreste fantastiche di un Seghers, o meglio, di un Bresdin (si pensi alla Commedia della morte, per esempio, con quel vegliardo seduto fra tibie e teschi sparsi nell’erba, sotto un albero che nasconde scheletri dietro ogni ramo).
Ma è proprio per questo, per l’autenticità dell’emozione che coinvolge il tutto, che è vano, anzi deleterio, cantare le lodi della tecnica, in un simile caso. Su questo punto non ci son dubbi, direi. Essi investono, se mai, i pensieri «neo-medioevali» che soggiaciono alla visione (ed alle scelte di cultura) . La eternità che cancella il valore delle conquiste dell’uomo, il richiamo alla vanità delle opere, il «memento mori», insomma (così appare ricondotta, qui, la natura stessa, quale «specchio» della frattura tra energia e destino). Insomma, l’alterazione della dialettica tra storia e natura; alla luce di una concezione escatologica del mondo, male adattabile ai problemi di un giovane d’oggi. Tant’è vero che, su questo punto, anche l’autore mostra, talora, di nutrire i suoi bravi dubbi. Penso a certe sue incisioni del ‘65, quali Sfera, Caduta, Occhi e tubi. Dove esperienze e memorie tendono a portare in primo piano il tenia dell’odierno conflitto fra tecnica e natura, da affrontare con animo interrogativo e non apocalittico (e dove, non per caso, la stessa «stratificazione degli stili» coinvolge fenomeni linguistici storicamente più vicini alla nostra realtà).
(cfr. D. M. Dino Morosini, Velly: la morte e il diavolo, in «Paese sera», Roma, 1 aprile 1971).
Antonio Del Guercio, Pittura e dolore, in «Rinascita», a. 28, n 14, Roma, 2 aprile, p. 23.
Velly accumula ossessivamente nell’immagine un brulichio denso di figure e cose, a un tal punto di perfezione tecnico illusoria da farla, almeno a un primo momento, respingere come immagine divorata dalla sapienza stessa del fare. Ma, in verità, si tratta di ben altro; e cioè della capacità di Velly di rivisitare le proprie fonti storiche, e soprattutto la linea michelangiolesca (e il neo-michelangiolismo degli inglesi del Settecento, Fussli in specie) al lume freddo d’una strana pietrificazione di cose e forme; una pietrificazione che viene da certo surrealismo e che Velly traduce in immagine concreta attraverso l’idea ossessiva (di origine, appunto, surrealistica) dell’ammassarsi fittissimo dei detriti. Idea che un’opera ad esempio come Montagna d’immondizie presenta direttamente, ma che in realtà è presente anche laddove (Metamorfosi II ad esempio) iconograficamente si tratta di altre cose. Voglio dire che i corpi e gli oggetti ch’egli assume e affolla nell’immagine sono essenzialmente corpi morti e cose morte; o quanto meno corpi e cose che hanno cessato di stare in relazione dinamica con gli altri corpi e le altre cose. Velly narra la storia ferma, o fermata, d’un pianeta freddo, senza movimento, e senza rumori; un pianeta entropico. E allora quella sapienza prestigiosa di mestiere riprende il suo senso vero di precisione forsennata nel dire questa non-storia nella chiave d’un referto tracciato da un testimone implacabile”.
Lorenza Trucchi, Velly alla “Don Chisciotte”, in «Momento-sera», Roma, 2-3 aprile.
“Mondo di gusto sostanzialmente simbolista ma rivisto con spirito nuovo, attento alle accumulazioni, agli assemblages, persino alle contaminazioni oggettuali della pop si veda, ad esemplo, come Velly trasformi le foreste Düreriane, così gremite di simboli teologici e metafisici, in coacervi di oggetti e rifiuti e, persino, in depositi di immondizie. Un visionario dei nostri giorni, apocalittico ma senza frenesie idealizzatrici”
Sandra Orienti, Il montaggio quasi un’arte, in «Il Popolo», Roma, 13 aprile.
“Velly è un grafico prestigioso, di una bravura e di una esperienza così affinata che rischiano di perderlo; perché entro questo mezzo scaltrito e acrobatico si rifondono agevolmente non soltanto tutto il repertorio immaginativo surreale, ma anche efflorescenze manieriste e puntigli nordici. Intorno ad ogni elemento di cui s’appropria, Velly riesce a comporre, per una sorta di germinazione lenticolare, un fittissimo armamentario di immagini, con un nervosismo allucinato che sembra finalmente un po’ allentarsi nell’esplorazione della figura”.
Carlo Giacomozzi, Note d’Arte. Velly, in «La Fiera Letteraria», a. XLVII, n. 10, Roma, 18 aprile, p. 25.
Velly alla Don Chisciotte, in «AZ», Roma, 22 aprile, p. 65.
Jean-Pierre Velly espone alla Galleria “Don Chisciotte”, in «Quadrante delle arti», Napoli, aprile.
Jean-Pierre Velly, in «Il Margutta», a. IV, n. 5-6, Roma, maggio-giugno.
Sconcertanti acqueforti di Jean-Pierre Velly, in «Cinema Sport », Roma, 18 dicembre.
Galleria Davico, in «La Voce del Popolo», Rijeka, 26 dicembre.
Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma.
1972
Angelo Dragone, La poesia incisa, Jean-Pierre Velly alla Subalpina, in «Stampa Sera», Torino, 5 gennaio.
“Velly ama la contaminazione figurale, mescolando continuamente ad una visione che ha spesso una classicheggiante impostazione i più tipici elementi surreali venati ora da una carica erotica ora di simbolismo, tra mitiche presenze e magiche evocazioni. Il segno ci sembra discendere da quello di Ensor, ma ha poi il piglio narrativo di certe gremite pagine di Callot; e se talora sembra ispirarsi a certe tornite beltà Düreriane, egli non è però mai del tutto immemore di maestri come Redon e Rops anche se da Metamorfosi alla Montagna d’immondizie, dal Trittico ad Acqua di Colonia Ma Joie); il sentimento, tutto suo, si fa interprete impegnato d’una temperie di cui non si stenta a cogliere l’attualità.
Originale è l’interpretazione della forma, in una grafia sottile, di rara efficacia, che gli consente di fissare con la stessa limpidezza certi particolari chiamati in primo piano, e le cose più minute e distanti, giocando sui diversi interventi tecnici: stabilendo i contorni con l’acquaforte, per riprendere poi la figurazione con la robustezza del bulino o con una più lieve traccia della puntasecca”.
E.D., Incisioni di Velly, in «Modena Flash», Modena, 27 febbraio.
“L’alto livello delle opere è dato da una capacità disegnativa insolita per i giorni nostri, che ricorda i grandi incisori del passato, unita a una visione surreale del mondo moderno. Le composizioni caotiche, sono certamente ispirate ai classici ma rendono in un modo perfetto l’idea della insicurezza e confusione attuale. Un mondo in fermento, fatto di angosce e di paura sembra scaturire dalla mano e dalla mente dell’artista, quasi una premessa al caos finale”.
C. T. [Claudia Terenzi], La matita d’argento di J. Pierre Velly, in «Paese Sera»,Roma, 10 giugno.
Due anni fa la Galleria Don Chisciotte, la stessa che oggi espone i suoi disegni, presentò le incisioni dell’artista, giovanissimo, per la prima volta a Roma, e fu subito evidente come Velly avesse sviluppato fino ad imprevedibili conseguenze e tecniche classiche dell’incisione, bulino, puntasecca, acquaforte, mescolando questi tre metodi per arrivare a risultati estremamente abili. Le incisioni erano in uno stile antico, quasi per la volontà di verificare la propria capacità di disegno sulla universalità di espressione e di contenuto che si ritrova nel linguaggio e nell’idea dell’arte «antica». I suoi soggetti quasi classici riguardavano nudi, paesaggi e teste: nell’attuale mostra il lavoro di Jean-Pierre Velly rappresenta un passo avanti sia nell’impostazione della tecnica, che attraverso la pratica e la continua ricerca progressivamente si perfeziona sia nella scelta e nella impostazione dei temi, che, superata la fase e la verifica accademica (ma accademica come indifferenza e pretestuosità del contenuto), sviluppano una maggiore espressività rivelando ormai più precise intenzioni di indagine sui soggetti stessi e quindi una ricerca di valori contenutistici. I ritratti di donna, di bambine e di vecchie diventano fortemente espressionistici, e ne deriva perciò una caratterizzazione dei tratti umani, del sentimento che si esprime nel viso, nelle situazioni rappresentate, nella individuazione di un pathos oramai preciso. I disegni sono tutti realizzati con la matita a punta d’argento, vago ricordo, forse, dell’incisione
Around Rome Galleries, in «Internarional Herald Tribune», Roma, 10-11 giugno.
Karl Buhlmann, Jean-Pierre Velly. Metamorphose zur Wahrheit hin, catalogo della mostra, Galerie Schindler, Berna (in tedesco / en allemand)
Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma.
1973
Jean-Pierre Velly alla «Botti», in «La Provincia», Cremona, 27 gennaio.
E.Fezzi., Velly alla «Botti», in «La Provincia”, Cremona, 4 febbraio.
Al primo incontro con queste pagine elaborate con tanta maestria, si esclamerebbe che esse abbiano tutti i numeri necessari per fare invidia ad un antico maestro del bulino e dell’acquaforte. E a questa illusione - che sembra voluta proprio per far cascare nella trappola il visore superficiale - conduce in realtà anche il canovaccio più vistoso, o, meglio, la struttura compositiva delle incisioni di Velly. Evocano vastità di paesaggi seicenteschi, monumenti manieristici e barocchi, o le gremite visioni romantiche di singolari artisti europei (a Rodolphe Bresdin, l’autore francese dell’800 che ha influenzato il simbolismo e Redon, Velly ha dedicato alcune sue acqueforti). Ma se si osservano con occhio più attento le fitte muraglie di ruderi e di rocce, le ampie e lussureggianti foreste e pianure, ciò che appariva un nostalgico sogno di alchimie incisorie alla Dürer, si presenta ricolmo di una materia che incancrenisce per il peso di organismi e di ferraglie che invadono ogni luogo.
Tutto allora si anima … di una crudissima malattia della natura e della terra. Ogni incisione - apparentemente memore di uno scenario di corte barocca - è un cumulo eterogeneo di residui umani disfatti e ormai inutili, sotto i cieli torbidi di nubi velenose.
… Velly ha una lucidità inconfondibile nella sostituzione quasi subdola degli elementi visivi”.
Les mondes de J.-P. Velly, in « Ouest-France », Quimper, 14 febbraio.
Jean-Pierre Velly, grand prix de Rome de gravure à la galerie Fouillen, in «Le Télégramme», Quimper, 5 aprile.
Nerio Tebano, Le prodigiose incisioni di Jean-Pierre Velly, in «Arri Visive», a. I, n. 2, Roma, autunno, pp. 177-192.
Ad vocem, in Catalogo Nazionale Bolaffi della. Grafica, Giulio Bolaffi Editore, Torino, p.169.
1974
Virgilio Guzzi, Velly classico e visionario, in «Il Tempo”, Roma, 1 giugno.
Lorenza Trucchi, Velly, in «Momento-sera», Roma, 5-6 giugno.
Francesco Vincitorio (a cura di), Le mostre. Jean-Pierre Velly, in «L’Espresso», a. XX., n. 23, Roma, 9 giugno, p. 93.
Dario Micacchi, Jean-Pierre Velly e la citta che scoppia, in «l’Unità», Roma, 12 giugno.
Marcello Venturoli, Le mostre, in «Il Globo», Roma, 13 giugno.
Bruno Morini, Arte. Jean-Pierre Velly, in «Il Giornale d’Italia», Roma, 18-19 giugno.
L’attuale raccolta, composta nella gran parte di fogli recenti, ci rivela ora nella sua interezza la visione di questo incisore di razza, del quale pone in piena luce la forte personalità e le eccezionali risorse, che, per evidenti in tutte le trentacinque opere esposte, spiccano particolarmente nelle stupende acqueforti a grande orchestra, quali per citarne solo alcune «La strage degli innocenti», le quattro «Metamorfosi», «Susanna al bagno» e «Città distrutta», opere che immediatamente inducono a pensare ai grandi incisori europei del Quattrocento e del Cinquecento ( Dürer in testa), e non soltanto per la prestigiosa classicità della tecnica, ma anche per l’ampiezza del respiro e la spettacolare imponenza della rappresentazione.
A tali contesti grafici di sapore genuinamente antico, Velly affida la propria visione del mondo d’oggi, di questo mondo che un apocalisse ecologica (e spirituale) minaccia di sommergere in un solo immenso cumulo di rifiuti (nel significato reale e metaforico del termine) ... Ma nel rappresentarne gli aspetti anche più angosciosi e terrificanti, l’artista non sa rinunciare a un suo classico, ancestrale concetto di bellezza; l’angoscia e il Dürer dell’uomo, il suo disfacimento psichico, e quello della natura, egli li trasferisce, vincolati a tale concetto, nel segno, nelle immagini, nelle sue impressionanti scene di moltitudini nude, da girone dantesco, da Valle di Giosafat, trascendendo ogni crudezza, ogni repellenza grafica; le montagne di immondizie, le frane di oggetti sconquassati, di rottami, tubi, ruote, gusci, scorze, nobilitanti dall’antica sapienza d’un finissimo chiaroscuro, d’una impeccabile armonia compositiva, assumono aspetti d’ordine squisitamente paesistico, così come i grandi nudi muliebri che si alternano ai mucchi dei rifiuti e dei brandelli o con essi franano e vorticano assieme a teste umane e frammenti di corpi esprimono la composta nobiltà di statue rinascimentali, d’antichi ruderi marmorei.
Continuo è, in queste incisioni, il richiamo a un ideale estetico fuori del tempo, che l’artista ha, che tutti abbiamo nel sangue, e costante è l’intendimento di adeguarvi l’immagine d’una realtà che al tempo è inesorabilmente legata. Velly riesce a realizzare in modo mirabile tale arduo intendimento, senza dissacrare quell’ideale e senza misconoscere questa realtà”.
Gino Visentini, Jean-Pierre Velly, in «Il Messaggero», Roma, 24 giugno.
“Per Jean-Pierre Velly l’arte non è il risultato ultimo di un opera, ma il «farsi» dell’opera stessa, al quale viene dato tutto il tempo e tutto l’impegno possibile. E chiaro che l’artista tiene d’occhio la grande tradizione rinascimentale degli incisori nordici…Velly considera a tecnica di quella tradizione come il culmine dell’arte dell’incisione, dopo di che qualsiasi tentativo di cambiamento non è che discesa verso un’arte meno perfetta. … Motivo di ciò è il sentimento panico della natura che soggiogava e forse atterriva il pittore. Egli vedeva la natura come configurazione di colori e le azioni umane come cozzo e annullamento di volontà. Nel «Massacro degli innocenti» un brulichio di figure si stempera in un largo paesaggio. Spesso, un nudo femminile alle proporzioni e di opulenza tardo rinascimentale si specchia in un caos che comprende le macchine, la città, la natura.
In «Tramonto», il bagliore di luce che, pulsando, tiene rilegati cielo e terra, ha la forza fecondatrice della linea a spirale con la quale Claude Mellan fissò il volto di Cristo: un exploit tecnico vertiginoso.
Altrove le nodosità, le ramificazioni di un tronco sono analiticamente ripercorse come metafora del rovello dell’artista, del suo tormento di rendere con chiarezza strutture d’inestricabile complessità.
I colori umbratili e le ore del giorno contrastano singolarmente con i fiori appassiti, con le forme dure e spigolose, il disegnatore epico e drammatico alla fine della giornata di lavoro inclina verso la malinconia e il lirismo”.
Carlo Giacomozzi, Mostre romane, in «La Fiera Letteraria», a L, n. 26, Roma, 30 giugno, p. 24.
Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma.
1975
Vanni Scheiwiller, Le mostre. Jean-Pierre Velly, in “il Settimanale», a II, n. 13, Roma, 29 marzo, p. 92.
“Arte come tecnè: Velly con la tecnica e la magia dell’incisione, ricrea un suo mondo, delle sue prospettive, un suo spazio onirico. Per esempio, La strage degli innocenti potrà sembrare fuori tempo ma ben dentro nel suo tempo ciò che riesce a evocare: dai campi di sterminio nazisti ai massacri nel Vietnam, in Africa, nel Sud America, ovunque avvengano le «inutili» stragi”.
Miklos N. Varga (a cura di), Ars Graphica. Jean-Pierre Velly, Galleria Transart - Milano, in «Gala International» a. XII, n. 71, Milano, aprile, pp. 64-66.
“Incisore puro, particolarmente versatile all’impiego del bulino, Velly può essere ritenuto il più moderno degli antichi, nel senso che le sue frequenti rivisitazioni (es. Dürer, Cranach, Bosch, Bruegel, Altdorfer, Marcantonio Raimondi, Seghers, Callot, Bresdin, etc.) ne riqualificano l’operatività extratemporale attraverso lo spazio onirico-surreale delle proprie attitudini visionarie, del tutto sradicate dal terreno delle comuni riappropriazioni (es. i d’après) immaginative. A questo proposito, Waldemar George ha scritto alcuni anni fa: “Velly elabora uno spazio onirico che si allontana dalla norma. L’estensione è trattata da questo incisore il cui “doppio” è un taumaturgo, come una materia duttile. Le regole di un’arte classica, presunta intangibile, sono violate o almeno trasgredite. Una realtà adeguata ai principi che reggono il meccanismo dell’occhio fa posto, in questi miraggi che sono le strane tavole di Jean-Pierre Velly ad una prospettiva che ha la qualità della molteplicità. Ogni elemento di una composizione ha una prospettiva propria e questa pluralità di punti focali permette all’artista, questo sognatore dagli occhi ben aperti, di tradurre l’invisibile al di là del visibile. Jean-Pierre Velly sembra sfidare le leggi della natura. Le forme vegetali e quelle meccaniche, le forme antropomorfe e quelle minerali si affrontano e si aggrovigliano, si incrociano e si confondono. In questo impero bizzarro costruito con ogni sorta di elementi, rocce di uno stile geometrico si mutano in teste mostruose. Brandelli raggruppati in maniera arbitraria assumono l’aspetto di macchine infernali o di macchine volanti. Esseri umani, che sono scorticati, corpi rosi dai vermi, antichi marmi le cui interiora sono fatte di ingranaggi di cordami di tubi di bielle e di pulegge, e dee della fecondità, simboli della terra-madre, animano un regno sorto dallo spirito chimerico di un poeta. Le immagini di Velly e il loro ordito plastico non possono essere dissociati. Esse concorrono ad un effetto d’assieme e marchiano così l’unità interiore di un’opera che sfugge alla misura comune”.
Infatti, nel microcosmo di Velly, la compresenza di elementi apparentemente eterogenei determina una “unità che si sottrae a qualsiasi “misura comune”, in quanto è l’insieme delle cose (verificabili alla lente d’ingrandimento) a costituire una pluralità di “punti di vista” coagulantisi fra loro fino a evidenziare una rappresentazione armonica del molteplice nell’uno. Certo, nel regno di Velly vengono compendiati i tre grandi regni della natura (animale, vegetale, minerale), dipendenti per associazione metamorfica, con effetti di spaesamento visivo e di conflittualità concettuale; ma tutto ciò rientra nella dimensione surreale”, non razionabizzabile a priori, che presiede al processo di trasformazione della materia vivente”.
Oolf Welling, Galerie. Jean-Pierre Velly, in «Haagsche Courant», Amsterdam, 18 giugno.
1976
Lorenza Trucchi, Incisori visionari, in «Momento-sera», Roma, 27-28 ottobre.
Luigi Lambertini, Visionarietà e ironia, in «il Giornale nuovo», Milano, 29 ottobre.
Calendario, in «la Repubblica», Roma, 31 ottobre.
M. B. M., Le Journal des Galeries, in « Les cahiers de la peinture n. 39 », Ginevra, ottobre, p. 11;
Virgilio Guzzi, Sette visionari francesi, in «Il Tempo», Roma, 3 novembre.
E. B. [Enzo Bilardello], Le mostre. Incisori visionari di Parigi, in «Corriere della Sera», Milano, 14 novembre.
Incisori visionari, in «Paese sera», Roma, 20 novembre.
Clotilde Paternostro, Incisori Visionari di Parigi, in «L’Osservatore Romano», Citta del Vaticano, 20 novembre.
Carlo Giacomozzi, Incisori visionari, in «La Fiera Letteraria», a. LII, n. 95, Roma, 21 novembre, p. 14.
Gualtiero da Via, Sette incisori parigini alla Galleria Don Chisciotte, in «L’Osservarore Romano, Città del Vaticano, 24 novembre.
Michael Gibson, Around the Galleries in London and Paris, in «International Herald Tribune, Londra, 18-19 dicembre.
“His work is baroque, surreal, allegorical and even apocalyptic in the sense that is suggests a vision of the future that passes through destruction on its way to Utopia. There is an extreme proliferation and at the same time an immense space in many of these works. The artist himself holds the promise of an unusual conjunction of virtuosity and driving purpose”.
Bernard Noël, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galerie L’oeuf du beau bourg, Parigi
Le trait est au visible ce que l’atome est au monde. Ainsi notre relation avec la réalité passe par le trait, car nous ne la connaissons qu’en instance d’être écrite par nos yeux. Le trait est a doublé face : il est notre folie d’aller vers les choses et la folle retenue qui nous empêche de les atteindre, en les voilant du désir même que nous en avons. L’écriture est ce toucher impossible, qui suscite l’empreinte de la chose là où il devrait l’atteindre -la rencontrer. Ce mouvement d’aller, qui ne reçoit rien en retour, on n’en lit l’insistante démence nulle part mieux que dans la gravure (à condition de préciser ici que s’intitule trop souvent gravure ce qui n’est que reproduction par un artiste même de ses propres images). La main qui grave veut faire surgir : elle ne suit pas un dessin, elle le cherche. Et cette différence fait qu’un Bresdin ou un Méryon sont des graveurs, alors que la plupart des soi-disant graveurs sont des dessinateurs n’utilisant le cuivre que par souci de multiplication. Si une image de Jean-Pierre Velly appelle nos yeux à ce point, c’est peut-être moins pour les qualités évidentes qu’ils y lisent, que pour cette raison fondamentale qu’elle est écrite avec la vivacité d’un surgissement qui, dans un même élan, nous offre la vision de l’origine et nous la dérobe en nous la fournissant. Toute image, dans cette oeuvre, doit sa puissance au fait qu’elle se dénonce pour ce qu’elle est et voudrait ne pas être : la couverture d’un mouvement de découverte. La naissance est proche de la mort : il suffit de retourner le trait qui les sépare, mais dans ce retournement quelle unité soudain apparaît ! La même que celle du noir et du blanc puisque le graveur n’inscrit avec l’un que l’affirmation de l’autre.
Michel Random, Gli incisori visionari di Parigi, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma. (version française)
1977
Eduardo Rebulla, Fantasia «eversiva» di Jean-Pierre Velly, in «L’Ora», Palermo, 15 marzo
“Reale e fantastico convivono nelle sue incisioni con una esuberanza sopraffacente sorretta da una inconsueta perizia tecnica e dal delirio lucido dell’invenzione, evitando tanto la ricerca affannosa dell’assurdo a oltranza quanto l’enigmaticità arruffona da eccesso di «simboli».
Migliaia di oggetti in una calca caotica e ipertrofica, che neppure li confonde, si inseriscono in un paesaggio naturalistico: dove sta l’inganno se nessuna frattura separa i primi dal secondo, se la simbiosi è perfetta dando al risultato un aspetto rassicurante e distaccato dentro cui convergono per colmo lezioni e riferimenti colti? Nessun velo: l’agibilità dell’immaginazione è dimostrata, basta decidersi a spostare l’angolo di osservazione abbandonando consuetudini vizze ed estetismi consumati (nel senso di quei «cadaveri mascherati» di cui parla A. Savinio). Anzi è forse un modo per sollevare il velo e guardare oltre la superficie delle cose.
Manca, è vero, a Velly, quel tanto di spregiudicatezza in più (come dire la capacità di andare a fondo) da consentirgli di spezzare le ultime remore ma il gioco è, evidentemente, teso, ed egli sa svolgerlo con discrezione e intelligenza, aggiungendo un’ironia intrappolata in pieghe sottili e una grafomania insistente (assimilabile all’horror vacui)”.
In giro per le gallerie, Jean-Pierre Velly, in «Avvisatore», Palermo, 16 marzo.
L’art visionnaire, in «Télé-Magazine», Neuilly sur Seine, 19 marzo.
L’art visionnaire, in « Téléjournal», Parigi, 19 marzo.
Dario Micacchi, II segno fantastico, in «l’Unita», Roma, 23 marzo.
Giuseppe Servello, Il mistero laico di Velly, in «Giornale di Sicilia», Palermo, 25 marzo.
Non ingannino dunque certe forme esterne di Velly: sono strumenti, modi e mezzi per arrivare ad una proporzione personale. Dentro le mobili inquietudini delle linee si articola la consistenza viva e corposa di una figura, di un paesaggio. L’incisore non perde mai il senso solido del blocco, ma si direbbe che disegni col fiato, tanto nervosa e poetica appare l’idea voluta e infine raggiunta. Tutto ciò è ragionato con cartesiano processo di sintesi: e l’emozione è interamente lasciata all’occhio capace di afferrare alla prima il senso di una storia. Perché di storie si tratta, di indagini interne e segrete, di filigrane figurative. E una sorta di “mistero laico”, come diceva Cocteau a proposito della pittura metafisica di de Chirico. I personaggi diventano allora amuleti, idoli di una religione nella, logica della vita contemporanea. E le voragini, le metamorfosi, i titoli simbolici ed allusivi, sono affidati come si diceva più all’intuizione che al raziocino dello spettatore”.
Virgilio Guzzi, Un maestro del bulino. Jean-Pierre Velly, in «Documento Arte», a. 2, n. 5, Roma, marzo-aprile, pp. 81-95.
Luigi Compagnone, Rosa Estadella, All’Insegna del Pesce d’Oro, Galleria Transart, Milano.
1978
Maria-Luise Sciò, A french artist with acute eye and a master’s touch, in international Daily News», Roma, 5-6 marzo.
“Stendhal and Corbière meet throught the artfull hands of Velly. The 19th century French writer Stendhal (actually a pseudonym for Marie-Henry Beyle), Breton’s poet of the same period, Corbière, and Velly are linked by heritage, love and philosophy.
All are Frenchman. All have been infatuated by the romantic italian skies. All are logicians and poets simultaneously. All have questioned life after death. All have observed man and nature and made precise psychological observations.
A puntctilious technique won Velly the coveted Grand Prix de Rome, and it is to be seen in 24 watercolors which paint the poet Corbière «Rondels Pour Après». The six poems of the poet whose life ended at 30 in 1875 are dialogues of the self. Short, artistically fluid, but with a morbid base, there is a coupling of the heroic with the dramatic. Velly is akin in spint, and picks up on Corbière’s conception of life after life.
… «I prefer watercolors to the technique of etching, I fell more free in my renderings» said Velly on the first day of the show «but any works retains my training as an etcher”.
This obvious in the composition of ecru in which he depicts the dead poet as booking into a coffin, it is executed in fine lines of a rainbow. The poet done in pencil lies over a series of figures who move out from a central line. In a rendering of a page from a childs notebook, the soft image of a boy is reflected. An ink spot on the upper right of the page of the book is, as Velly said, «like a star that brings the poet to the rising star through a series of swirling ink blotched». He goes on: The observer’s eyes travels to the spot of pale red ink that is spilled on a portion of a notebook from an obviously older student, as the squares are smaller. Then, from there, ink spills softly in gray to bring you back to the poet. The draw drops that faintly frame the notepaper relate life to nature, and back».
In all of the 24 works, Velly shows his pinpoint clarity, and his ironist sentimentalist nature. An artist with exceptional ability; he has done an exquisite series.
Vito Apuleo, Le mostre a Roma, «La Voce Repubblicana», Roma, 8 marzo.
Edith Schloss, Rome. Jean-Pierre Velly, in « International Herald Tribune », Roma, 18-19 marzo.
Calendario, in «la Repubblica», Roma, 19-20 marzo.
Dario Micacchi, Jean-Pierre Velly tra mare e cielo, in «l’Unità», Roma, 21 marzo.
Luigi Lambertini, Mostra Velly, in «GR2- Rai», Roma, 28 marzo.
E. B. [Enzo Bilardello], J.P. Velly, in «Corriere della Sera», Milano, 30 marzo.
Vanni Scheiwiller, L’incisore prodigio ha scoperto il colore, in «L’Europeo», a. XXXIV, n. 13, Milano, 31 marzo, p. 8.
ARTE
L’incisore prodigio ha scoperto il colore
Jean-Pierre Velly: 24 inchiostri, matite e acquarelli 1976-1978, alla Galleria Don Chisciotte, via A. Brunetti 21a, Roma, fino al 31 marzo (Prezzi: da 500.000 a 800.000 lire). LEONARDO SCIASCIA: “Velly pour Corbière”, ed. Don Chisciotte, Roma 1978, lire 5000 (ed. di lusso, con un’acquaforte originale, 100 es. lire 80.000).
Tre anni di lavoro di un disegnatore formidabile: ben noto in Italia come incisore prodigio, questa mostra lo rivela anche come eccezionale, perfino mistico colorista. Francese, trentacinquenne, Velly ha studiato a Parigi e nel ’66 ebbe il primo “Grand Prix de Rome” per l’incisione. Dopo il lungo soggiorno a Roma dal ’67 al ’70 ospite di Villa Medici, si trasferisce a Formello, alle porte di Roma, dove attualmente vive e lavora, alternando viaggi in Francia e Spagna. Velly non ha paura di essere fuori delle avanguardie storiche e si riallaccia piutosto alla grandiosa tradizione francese che ha in Poussin il più glorioso e cerebrale degli artisti francitaliani e romani d’adozione. Il suo mondo fantastico, dove l’attuale civiltà è vista già come cristallizzate rovine, è colto in modo un po’ ambiguo, a occhi socchiusi, sorretto sempre da una tecnica prodigiosa. Gli acquarelli della mostra, presentata da Leonardo Sciascia, sono ispirati dalle poesie di Tristan Corbière, poeta maledetto, “parisien un instant e bretone sempre. Anche qui il suo mondo visionario, apocalittico, è colto a occhi socchiusi, un po’ ambiguo, come sospeso: mare e cielo, uomo e donna, vita e morte. Un colore “nordico”, ha scritto Sciascia, un colore bretone ma rivissuto nelle “promenades dans Rome”. E prima ancora: attraverso l’azzuro del “romano” Poussin.
Virgilio Guzzi, Velly, incisore visionario, «Il Tempo», Roma, 2 aprile.
Michel Random, I viaggiatori dell’ombra e dello sguardo, in Lo sguardo e la scrittura, catalogo della mostra. Galleria Arte d’Oggi, Pescara. (version française)
Leonardo Sciascia, Velly pour Corbière. “Rondels pour après”, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Edizioni Don Chisciotte, Roma (rip., col titolo Appunti su Velly, in Giuseppe Schito, a cura di, Expo Arte. Fiera Internazionale di Arte Contemporanea, Industria Grafica Laterza, Bari, 1978, pp. 190-193; in parte, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma, 1991; in Giuliano De Marsanich, a cura di, Jean- Pierre Velly, catalogo della mostra, Accademia di Francia, Villa Medici, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1993, pp.18-19). (version française)
1979
e.c.s. [Elvira Cassa Salvi]. Jean-Pierre Velly, in «Giornale di Brescia”, Brescia, 3 marzo.
“Ed è tema manieristico infatti quello della proliferazione degenerante, della fecondità corrotta, della metamorfosi decadente, della neoplasia. All’origine sta il senso sano, avvincente, del dilagare vitale: siano i cirri in cielo, le creste d’onda marina o lo sterminato intreccio del gran tappeto vegetale, alberi ed erbe, felci e cespugli, Velly dilaga con una sensibilità panica cui tien dentro, con straordinaria fluidità, il tessuto strepitoso e infinitesimale del segno.
… Ma nei fogli di Velly la generazione corrotta non sempre si lega alle immagini di questo realismo visionario, di questi angosciosi assemblages che incombono, assediano, minacciano la sopravvivenza delle ultime oasi di vita. Spesso il degenerare della vitalità, la corruzione dell’originaria fecondità, della potenza inarrestabile della procreazione prende forma di grandi ascensioni, che muovono dal corpo disfatto della donna, al modo di quegli immensi cortei d’angeli che nei secoli passati accompagnavano il glorioso trapasso di un santo, 0, in senso inverso, il precipitare d’un demonio. Ma in queste ascensioni di Velly non si vedono né angeli né demoni, ma piuttosto oggetti senza senso, corpi senza forma, orribili, tragici, trionfi del non-senso”.
Jean-Pierre Velly, in «L’Eco di Padova», Padova, 19 maggio.
Angelo Dragone, Tavernari: la vita che rinasce. La grafica «visionaria» di Velly, in «La Stampa», Torino, 29 maggio.
“Fin troppo facile, forse, vedere ora nell’uomo colto e nella potente suggestione del barocco romano, gli elementi che hanno sollecitato la fantasia, sino a fame un mistico moderno, preso tra immagini di morte e di resurrezione e i miti nevrotici del nostro tempo. Ma è capace anche di fissare in una lastrina minuta un trasognato Notturno e una Maternità dove l’immagine di luce che costruisce, lascia godere sino in fondo la bellezza del suo segno espressivo”.
Michel Random, Les graveurs visionnaires ou l’écriture du destin, in «Terzocchio», a. V, n. 14, Bologna, maggio, pp. 7-15, 29- 30. en français
N.Teb. [Nerio Tebano], Velly a. Roma, Incidere alla luce del sole, in «Questarte», a. Il l, n. 8-9, Pescara, agosto-settembre, p. 11.
“Smaltita l’esigenza di attingere all’orto genesiaco della creazione, le incisioni di Velly risentono oggi di altri umori e di altri furori icastici, dove il fantastico sembra prevalere sul demoniaco, il segno grafico meno allucinante e graffiante, senza perdere niente della sua incisività e della sua pregnanza. Sarà stato il clima e il colore di Roma, sua nuova città di adozione, a stampare in lui quella virulenza di immagini, che nelle prime incisioni viste in Italia avevano trovato terreno fertile nella serie delle Metamorfosi, segnali d’allarme per la morte della natura, capati tra grovigli di rami secchi e di foglie morte; tra cimiteri di corpi umani e di oggetti di consumo, e nella stupenda incisione La strage degli innocenti che non sai se ricorda l’Apocalisse di secoli remoti oppure è il pregio di ciò che dovrà accadere in un futuro molto prossimo.
Certamente l’ambiente ed il paesaggio tutto intorno a Formello, a qualche chilometro da Roma, dove egli ora vive, avrà influito sul nuovo corso di cui qualche validissimo esempio è stato offerto nell’ultima sua personale alla Galleria Don Chisciotte di Roma. Una serie di recenti incisioni nella quale un nuovo spazio poetico-figurativo è avvertibile”.
Guido Strazza, II gesto e il segno, Edizioni di Vanni Scheiwiller, Milano, p. 165.
Patricia James, Population Mathus, his Life and Times, Routledge & Kegan Paul London, Boston and Henley ISBN 0 7100 2066 1 (copertina: le Massacre des Innocents)
1980
Augusto Roca, Mostre. Un Bestiario perduto e non riproducibile. Doppia esposizione a Roma dell’incisore francese Jean-Pierre Velly, in “Il Manifesto”, Roma, 21 novembre.
Fortunato Bellonzi, Il mondo annichilito di Jean-Pierre Velly, in «Il Tempo”, Roma, 28 novembre.
“La perspiquità di indagine e la sostenutezza dell’energia gareggiano con quelli del naturalismo nordico e gotico, che ha una storia secolare ininterrotta, di cui gli esempi, a noi più vicini nel tempo, sono nel prearaffaellismo inglese - nel simbolismo.
Velly si ricollega spontaneamente a tali lontane premesse, anche del gotico nostro. Un suo pipistrello inchiodato nelle ali è così vicino all’analogo disegno di un ignoto artista toscano degli ultimi decenni del Trecento (figurava nella recente mostra di disegni toscani e umbri del primo Rinascimento, organizzata dall’Istituto Nazionale della Grafica) che il confronto stupirebbe non badando al diverso significato delle due immagini, descrittiva la prima, consapevolmente tragica la seconda; e alla fattura: in Velly secca e carica di moniti.
Lunghi, sottili spilli compaiono confitti con forza cosciente nel torace, nell’addome dei coleotteri e degli scorpioni le cui parti segmentate - elitre, antenne, organi boccali, zampe, chele, anelli, scaglie conservano, sebbene separate, completezza formale e propriamente bellezza di gioielli minuscoli, di intagli preziosi (perciò, appunto, nominiamo insetti la gran parte degli artropodi).
L’occhio del disegnatore, attento e raccapricciato, si ferma a interrogare queste reliquie della vittima (per «inferiori» che possano essere classificati da noi i viventi) la quale conserva la medesima organicità e forza per l’intera scala quasi interminata delle creature, al cui vertice senti operante la virtù creativa, Dio o Natura. E nell’indagine dell’artista cogli l’oggettivazione scrupolosa nell’atto in cui, superata la naturalezza rappresentativa, si pone sul piano della contemplazione e quasi della religiosità.
Attorno ai topi uccisi e appiccati per il muso, o ai rapaci crocifissi, spesso una vibrante trama grigia interviene, nell’alto o nel basso della pagina bianca, a comporre una specie di aureola, un arco di cielo spento, un margine di giardino disseccato: sono foglioline, ireos, tignole, larve ( sottovetro i vegetali non meno degli animali) condotti a lapis con incredibile spicco nel formicolare delle minute parvenze; mentre gocce oblique di rosso acquerellato e graffi e grumi di inchiostro (l’effetto può rammentarci i grovigli simbolistici e calligrafici di Wols) traversano lo spazio: schizzi di sangue, umori spremuti dalla circolazione vasale schiacciata. Talvolta una macchia nera si stampa nella pagina; è l’orma della bestia spiaccicata, come ne restano sui muri calcinosi dei ricetti poveri.
… Velly commenta coi versi le proprie immagini lucidi e dolenti. … Una sorta di Antologia di Spoon River degli insetti, dei roditori, dei rapaci, è il Bestiaire perdu di Velly … il rifiuto della morte iniqua … per Velly è invece ragione primaria di conoscenza e proposito fermo di contrapporle la poesia: destinata a perdere tutte le battaglie, ma, al pari della fenice, risorgente sempre dalle proprie ceneri.
(cfr. Fortunato Bellonzi, Il mondo annichilito di Jean-Pierre Velly,
Franco Simongini, « I miei maestri», in “Il Tempo”, Roma, 28 novembre.
The Art Scene, in «La settimana a Roma», a. XXXI, n. 49, Roma, 5-11 dicembre, p. 3.
Dario Micacchi, Velly: un artista morale dal talento raro e solitario, in «l’Unità», Roma, 10 dicembre.
Vito Apuleo, Jean-Pierre Velly, in «Il Messaggero», Roma, 11 dicembre.
Luigi Lambertini, Storie di spilli e di pipistrelli, in “il Giornale nuovo», Milano, 12 dicembre.
Virgilio Guzzi, Scialoja, Velly, Cattaneo e altri, in «L’Umanità», Roma, 19 dicembre.
Didier Bodart, Jean-Pierre Velly, L’Oeuvre gravé, 1961-1980, Galleria Don Chisciotte Editore, Sigfrido Amadeo-Vanni Scheiwiller, Roma-Milano.
Mario Praz, L’opera grafica di Jean-Pierre Velly , in Didier Bodart, Jean-Pierre Velly, L’Oeuvre gravé, 1961-1980, Galleria Don Chisciotte Editore, Sigfrido Amadeo-Vanni Scheiwiller, Roma-Milano. (lire la version française)
Jean-Pierre Velly, Bestiaire perdu, Don Chisciotte Editore, Roma.
1981
Larve notturne, bestie maledette, in «la Repubblica», Roma, 4 gennaio.
Antonio De Lorenzi, Quasi un bestiario medievale, in «Messaggero Veneto», Udine, 4 gennaio.
Expone en Roma Jean-Pierre Velly, in «Excelsior», Mexico City, 20 febbraio.
Dario Micacchi, Velly o del dolore del mondo, in «l’Unita», Roma, 18 novembre.
Milos Lukes (a cura di), 2. Biennale der Europdischen Grafik Baden-Baden 1981, catalogo della mostra, Baden-Baden, pp. 106,369.
Guido Giuffrè, il giorno dopo l’inaugurazione, commenta su RA13:
“ … Boschi è un bolognese, si diceva, e dunque italiano. Giova ripeterlo per volgersi alla mostra di Jean-Pierre Velly, che è francese, e sembra tedesco. Le quaranta incisioni esposte alla galleria Temple, della Tyler School of Art in Rome, al Lungotevere Arnaldo da Brescia rappresentano circa la metà di tutta l’opera di uno tra i più acrobatici virtuosi dell’incisione contemporanea. Velly, che non ha quarant’anni, ha sbagliato secolo; era nei suoi programmi di nascere e operare in quel rinascimento tedesco dove sono rimasti i suoi amici Dürer, Grunewald, Schongauer, e per un errore di percorso, egli si trova invece oggi tra noi. Ma non se ne sgomenta e continua oggi il suo lavoro come quegli amici pazientemente gli hanno insegnato ed egli tenacemente ha appreso. In questi fogli dalla tecnica incisoria incredibilmente perfetta, analitica, minuziosa, paesaggi brulicanti di vegetazione corrono verso orizzonti lontanissimi, nudi femminili dalle classiche movenze scavalcano agevolmente i secoli, e folle di cento, mille personaggi rivivono gli incubi di visionari d’altri tempi. Ma in questo modo così in apparenza retrodatato non è soltanto il virtuosismo ammirevole a riscattare la fuga nel tempo. Se talora un che di stantio, di museale, vanifica tanta prestigiosa bravura, talaltra, come in certi paesaggi bruciati e fuligginosi, ossessivamente tempestosi, chi guarda è risucchiato in quei vortici, e la tecnica si fa linguaggio, e il linguaggio voce viva e inquietante”.
Ad vocem, in Catalogo della grafica italiana n. 11, Giorgio Mondadori e Associali, Milano, p. 193.
1982
Luisa Arano, Una favola che ha millenni, in «Annabella», a. L, n. 2, Milano, 9 gennaio, p. 34-35.
Franco Simongini, Velly: mistero vegetale, in «Il Tempo”, Roma, 18 ottobre
Jean Leymarie, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, FIAC Grand Palais, Parigi, Edizioni Galleria Don Chisciotte, Roma (rip., in parte, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Gian Ferrari, Milano) (version française)
Au-dela du temps. Acquarelli di Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte Editore, Roma, 1984; in parte, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma, 1991; in parte, in Anni ‘90: Tradizione e Prospettive, catalogo delle mostre, Roma, 1993; in Giuliano de Marsanich, a cura di, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Accademia di Francia a Roma, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1993, pp. 20-21). (version française)
Alberto Moravia, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Grand Palais, Parigi, Edizioni Galleria Don Chisciotte, Roma (rip. in Au-dela du temps. Acquarelli di Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte Editore, Roma, 1984; in parte, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma, 1991; in Giuliano de Marsanich, a cura di, Jean- Pierre Velly, catalogo della mostra, Accademia di Francia a Roma, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1993, pp. 22-23). (version française)
Lucio Mariani, Preghiera della cetonia in morte, in Jean-Pierre Velly, catalogo della FIAC, Grand Palais, Parigi, Edizioni Galleria Don Chisciotte, Roma.
Creatività e tecnica d’incisione. Tradizione e ricerca a Roma: 1960-1982, catalogo della mostra, Palazzo Venezia, Roma.
1983
Jean-Pierre Velly à la galerie Michèle Broutta, in «NouveIles de l’Estampe», n. 67, Parigi, gennaio-febbraio, p. 23.
C’est une rétrospective de l’œuvre gravé de Jean-Pierre Velly que Michèle Broutta a choisi de présenter avec un ensemble de 82 planches exécutées entre 1961 et 1980, à l’occasion de la parution du catalogue raisonné de l’œuvre gravé de l’artiste établi par Didier Bodart (Galleria Don Chisciotte éditeur, Rome, 1980). Pour la première fois à Paris, une galerie française exposera la totalité de l’œuvre gravé de cet artiste déjà réputé en Italie où il vit et travaille depuis 1970. Né à Audierne (France) en 1943, Jean- Pierre Velly a suivi les cours de l’ Ecole des Beaux-Arts de Toulon, ceux de l’Ecole des Arts appliqués et de l’EcoIe nationale supérieure des Beaux-Arts de Paris. Premier grand prix de Rome de gravure en taille-douce en 1966, il fut pensionnaire de la Villa Médicis à Rome entre 1967 et 1970. En 1970, il obtint le Grand prix des envois de Rome au Petit Palais de Paris pour les gravures réalisées pendant son séjour à la Villa Médicis. Cette exposition permettra à tous de mieux suivre l’itinéraire de cet artiste, au sujet duquel Jean Leymarie a écrit (dans le catalogue de l’exposition à la galleria Don Chisciotte de Rome) : Velly débute essentiellement comme graveur et le catalogue établi de son œuvre entre 1961 et 1980 comprend une succession de 82 burins, et eaux-fortes qui saississent aussitôt par la rigueur archaïque de leur métier et de la tension apocalyptique et moderne de leur contenu». Mario Praz, en son introduction, les relie à leurs sources nordiques et germaniques, au courant de la tradition fantastique qui s’exaspère à la fin du Moyen Age et durant la crise maniériste. Ses planches, dont les exégètes auront à déchiffrer la syntaxe accumulative et la profusion symbolique ont pour thèmes les grotesques, les métamorphoses, les gouffres, les hybrides, les massacres, les cataclysmes, la monstrueuse asphyxie de la vie organique par la prolifération mécanique. Parfois, le corps ou le visage aimé de la femme assiste au cauchemar planétaire et en subissent les affres. La perfection artisanale du détail s’intègre au rythme grandiose de l’ensemble»... «Le chemin de Velly (ajoute Alberto Moravia dans ce même catalogue), de Durer et Bosch à lui-même est aussi le chemin qui de l’invention des monstres et des catastrophes l’a conduit à la contemplation des fleurs et des plantes utilisées justement comme métaphores de ces monstres et de ces catastrophes. La même main qui autrefois avait mis au premier plan les horreurs du présent, arrête maintenant avec la même intention, l’humble vie végétale dans son devenir». Le catalogue de l’œuvre gravé, 1961- 1980, établi par Didier Bodart, préfacé par Mario Praz, 82 numéros, reproduit toutes les planches et donne des notices détaillées pour chacune d’elles.
Jean-Louis Ferrier, Expositions. Velly, «Le Point», n. 549, Parigi, 28 marzo-3 aprile.
L’inspiration, une vielle lune ? Ils ont bien tort, les penseurs à la mode intellectualiste, de la tenir pour surannée! Elle existe, elle brille de tous ses feux: je viens de la rencontrer à la Galerie Michèle Broutta, qui expose actuellement Jean-Pierre Velly. Quatre vingt gravures où les corps de femmes se métamorphosent en insectes, où l’ombre le dispute à la lumière, où les mondes se gobent l’un l’autre. Velly a juste 40 ans, il appartient à cette nouvelle génération d’artistes qui - comme Doaré, comme Rubel - en a eu marre du bégaiement dans lequel n’en finit pas de se confiner le vieil art moderne. On le dit visionnaire ou fantastique, selon les cas, tant il semble tourmenté. Il est surtout profond, somptueux.
M. N., Velly, graveur de l’imaginaire, «Le Figaro», Parigi, 28 marzo.
Prix de Rome per l’incisione nel 1966, Velly espone da Michèle Broutta la sua opera incisa completa: dodici anni di produzione. Impressionanti per la loro padronanza tecnica, questi lavori molto classici evocano un intero universo pittorico in cui si trovano tracce di William Blake, Bresdin, Hercules Seghers, altri ancora. . . Velly è un eccellente incisore che lavora secondo una tradizione.
Ciò che affascina di questo artista lento e meticoloso è l'eccessività. Un eccesso che si esprime nell'abbondanza di dettagli all'interno dell'infinitamente piccolo, in ogni oggetto, scavato fino al limite estremo del visibile. Ad esempio, in questa lastra intitolata Il massacro degli innocenti, in cui vediamo innumerevoli uomini che corrono in un vasto spazio aperto visto dall’alto, come in molti dei dipinti di Bruegel…. In Velly, lo splendore tecnico viene utilizzato far emergere l'immaginazione "
(cfr. M. N., Velly incisore dell’imaginazione , in «Le Figaro», Parigi, 28 marzo 1983).
Jean-Marie Dunoyer, Au-dela de l’image, Velly, in «Le Monde», Parigi, 31 marzo
Au-delà de l’image
Restons dans le monde de la gravure avec Jean-Pierre Velly. Son inspiration est tout autre (que celle de Fred Deux, NdE) mais son métier confondant. Son séjour à la Villa Médicis a été bénéfique. Seulement tout est venu nourrir le sens du fantastique et une technique héritée d’un Bosch et d’un Dürer, monstres «grotesques » métamorphoses animales et végétales, cataclysmes, tout lui est bon. Dans cette mini rétrospective, on suit une courbe ascendante vers la lumière, et les planches les plus récentes s’éclairent de trouées éblouissantes (Qui sait ?, Rondels pour après, les Temples de la nuit...). L’amateur d’estampes sera d’autre part fasciné par de vrais tours de force : Paysage Plante, Ville détruite, par exemple, fourmillent de détails microscopiques multipliés à l’infini.
La lezione di Velly, in «Nuova Rivista Europea», a. VII, n. 3, Trento, marzo.
“Moravia e Sciascia sono di fatto i padrini italiani di Jean-Pierre Velly, del quale il 30 marzo è stata inaugurata una eccellente mostra alla Galleria Gian Ferrari. Pare una lezione di botanica questa sua mostra milanese, in realtà è una sensibilissima lezione di pittura, in opposizione discreta quanto inflessibile a tanta non-pittura e anti-pittura.
Questo il giudizio di garanzia di Jean Leymarie: «Da tre o quattro anni Velly ha rinunciato al linguaggio del bianco e nero che prima gli sembrava essenziale alla spinta onirica, e si orienta verso il colore vissuto e la visione naturale. In un movimento non di espansione ma di decantazione. Due serie transitorie dei suoi disegni e acquarelli sono state pubblicate in album, uno, con una prefazione di Leonardo Sciascia, per illustrare Corbière, l’altro, con degli scoli di sé stesso, per evocare e ridar vita al «Bestiaire perdu». …
Dopo la redenzione della figura umana sotto le spoglie del paria, Velly salva e consacra del regno animale le bestie rifiutate, torturate e annientate: insetti, topi, girini, pipistrelli. Due delle immagini del suo Bestiaire de pitié mostrano la cetonia e lo scarabeo dai riflessi metallici accanto a mazzi di fiori di una luminosità fosforescente. I fiori si separano dai coleotteri e inaugurano nel 1980 il gruppo inedito degli acquarelli autonomi dal tono vegetale proposti al pubblico parigino e meravigliosamente commentati da Alberto Moravia. …
L’acquarello dalle riflessioni aeree è la tecnica stessa della pittura cinese in cui predominano il paesaggio e gli emblemi vegetali. Esso acquisisce in Europa la sua piena indipendenza e la fluidità luminosa soltanto nell’Ottocento, con Turner sul versante nordico e Cézanne sul versante latino. La sua libertà presuppone la padronanza del disegno. Dürer, il cui genio fondamentalmente grafico è per Velly l’esempio supremo, ha creato degli acquarelli di natura, insoliti ai suoi tempi, che rimangono i prototipi e la più alta espressione del genere, e, per i giovani artisti contemporanei, delle incitazioni inaudite a riscoprire la densità del reale»
(cfr. La Lezione di Velly, in «Nuova Rivista Europea», Trento, marzo 1983).
La vie des Arts-Galeries-Paris, Velly, in «L’Oeil», n. 332, Parigi, marzo, p. 71.
“Le réel apparait, dans ces gravures, comme une sorte de gélatine aux formes enchevêtrées en elles-mêmes et, toutefois, exactement tracées, et qui permettent de passer du naturel à l’humain et, de là, à l’inhumain en une continuelle métamorphose qui laisse deviner un esprit et une imagination irrésistiblement portés vers la métaphore et le symbole”.
Giorgio Mascherpa, I fatti dell’arte. Velly, in «Avvenire», Milano, 15 aprile.
Nello Ford Grazzini, Quello straordinario “bestiario” visto alla lente di ingrandimento, in «l’Unità», Milano, 20 aprile.
Su «Nuova Rivista Europea» si legge:
“Moravia e Sciascia sono di fatto i padrini italiani di Jean-Pierre Velly, del quale il 30 marzo è stata inaugurata una eccellente mostra alla Galleria Gian Ferrari. Pare una lezione di botanica questa sua mostra milanese, in realtà è una sensibilissima lezione di pittura, in opposizione discreta quanto inflessibile a tanta non-pittura e anti-pittura.
Questo il giudizio di garanzia di Jean Leymarie: «Da tre o quattro anni Velly ha rinunciato al linguaggio del bianco e nero che prima gli sembrava essenziale alla spinta onirica, e si orienta verso il colore vissuto e la visione naturale. In un movimento non di espansione ma di decantazione. Due serie transitorie dei suoi disegni e acquarelli sono state pubblicate in album, uno, con una prefazione di Leonardo Sciascia, per illustrare Corbière, l’altro, con degli scoli di sé stesso, per evocare e ridar vita al «Bestiaire perdu». …
Dopo la redenzione della figura umana sotto le spoglie del paria, Velly salva e consacra del regno animale le bestie rifiutate, torturate e annientate: insetti, topi, girini, pipistrelli. Due delle immagini del suo Bestiaire de pitié mostrano la cetonia e lo scarabeo dai riflessi metallici accanto a mazzi di fiori di una luminosità fosforescente. I fiori si separano dai coleotteri e inaugurano nel 1980 il gruppo inedito degli acquarelli autonomi dal tono vegetale proposti al pubblico parigino e meravigliosamente commentati da Alberto Moravia. …
L’acquarello dalle riflessioni aeree è la tecnica stessa della pittura cinese in cui predominano il paesaggio e gli emblemi vegetali. Esso acquisisce in Europa la sua piena indipendenza e la fluidità luminosa soltanto nell’Ottocento, con Turner sul versante nordico e Cézanne sul versante latino. La sua libertà presuppone la padronanza del disegno. Dürer, il cui genio fondamentalmente grafico è per Velly l’esempio supremo, ha creato degli acquarelli di natura, insoliti ai suoi tempi, che rimangono i prototipi e la più alta espressione del genere, e, per i giovani artisti contemporanei, delle incitazioni inaudite a riscoprire la densità del reale»
Cesare Nembrini, Velly, in «Radio Svizzera Italiana», Lugano, aprile.
Jean-Pierre Velly, in «Il Messaggero», Roma, 30 novembre.
Michèle de Joannis (a cura di), FIAC 83, catalogo della mostra. Grand Palais, Parigi, pp.68, 69.
1984
Franco Simongini, Velly: il simbolismo della bellezza vegetale, in «Il Tempo”, Roma, 1 aprile.
Giorgio Soavi, E la natura posò per Velly, in «il Giornale nuovo», Milano, 8 aprile. (version française)
Enzo Bilardello, Gli acquarelli di Velly, in «Corriere della Sera», Milano, 9 aprile.
Giorgio Soavi, Figure. Jean-Pierre Velly, in «Epoca», a. XXXV, n. 1749, Milano, 13 aprile.
Mario Novi, Piccoli ma belli, in «la Repubblica», Roma, 18 aprile.
Vito Apuleo, Jean-Pierre Velly, in «Il Messaggero», Roma, 24 aprile.
Domenico Guzzi, Dalla realtà ed onirismo alla scoperta del mistero, in «L’Umanità», Roma, 27 aprile.
Guerrino Mattel, «Jean-Pierre Velly», in «Metro», Roma, 7 maggio.
Clotilde Paternostro, Mostre romane. Jean-Pierre Velly, in “L’Osservatore Romano”, Città del Vaticano, 12 maggio.
(d. g.) [Domenico Guzzi], Periscopio. Jean-Pierre Velly, in « Terzoocchio », a. X, n. 3 (32), Bologna, settembre, p. 67.
1985
M. S., Un pezzo da museo, in «L’Espresso», a. XXXI, n. 49, Roma, 5 dicembre, p.117.
Paolo Bellini, Storia dell’incisione moderna, Minerva Italica, Bergamo, pp. 364, 366, 517.
1986
Mario de Candia, La flora dipinta di Velly, in «la Repubblica - Il piacere dell’occhio», Roma, 18 aprile.
Fr. Sim. [Franco Simongini], Un erede per Dürer, in «Il Tempo”, Roma, 18 aprile.
Mario Novi, Le mostre. Roma, in «L’Espresso», a. XXXTT, n. 1 5, Roma, 20 aprile, p. 101.
Enzo Bilardello (a cura di), Preziose malinconie di Velly, in «Corriere della Sera», Milano, 21 aprile.
Franco Simongini, Velly: quel miracolo vegetale nell’infinito, in «Il Tempo”, Roma, 21 aprile.
Antonello Trombadori, Tutti i fiori del pensionato, in «Europeo», a. XLII, n. 17, Milano, 26 aprile, p. 134.
“La scelta di Velly si iscrive naturalmente nello svolgimento della giovane pittura italiana dal 1960 in poi. C’è, di certo, nel suo rifugio nella «beata solitudo» medievaleggiante tiberina anche il riflesso del revival quasi preraffaellitico che si esprime, un po’ dovunque in Europa, nella fuga dall’assedio tecnologico urbano. Ma tanto più Velly riesce a dischiudere finestre e a indicare sentieri di fuga quanto più la sua fantasia si fa introspettiva e si concentra su oggetti e luoghi di una segreta e separata esistenza. Il suo stile si precisa in tal modo come un momento del medesimo processo inventivo che è tipico di alcuni pittori italiani di più sicuro spirito europeo. Ne cito due di diversa generazione e di diverso impatto con l’immagine: Piero Guccione e Enzo Cucchi. L’attenzione portata a Velly da Jean Leymarie, da Alberto Moravia, da Leonardo Sciascia, da Giorgio Soavi, da Marisa Volpi pone giustamente l’accenno sulle ascendenze nordiche di un magistero grafico che risale a Seghers e a Rembrandt, a Bresdin e a Redon. A me risulta impossibile non collegare i «fiori» di Velly a quelli sia di Antonio Donghi che di Mario Mafai rivisitati in modo tale da fare appunto di lui, come un po e accaduto al suo coetaneo tedesco Dieter Kopp, uno dei rianimatori dell’eredità fertilissima della Scuola Romana della prima metà del secolo”.
Vito Apuleo, In Galleria. Jean-Pierre Velly, in «Il Messaggero», Roma, 29 aprile.
Fabrizio Dentice, Assassinio in galleria, in «L’Espresso», a. XXXII, n. 18, Roma, 11 maggio, p. 108.
Gualtiero Da Via, Velly oltre la malinconia, in «L’Osservarote Romano», Città del Vaticano, 7 giugno.
PR. [Patrizia Radocchia], Jean-Pierre Velly, in Iniziativa Keplero, Pittori in Italia nella civiltà dell’energia e dell’elettronica, catalogo della mostra, Palazzo Sagredo, Venezia, Fabbri Editori, Milano, pp. 84-85.
Giorgio Soavi, Il quadro che mi manca, Garzanti, Milano, pp. 83-85 (rip. in Giuliano de Marsanich, a cura di, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Accademia di Francia a Roma, Pratelli Palombi Editori, Roma, 1993, pp. 25-26). (version française)
Maristella Bodino, Mostre. A Jean-Pierre Velly, in « Epoca », a. XXXVII, n. 1857, Milano, 9 maggio, p. 132.
Marisa Volpi, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma (rip. in parte, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma, 1991; in Giuliano de Marsanich, a cura di, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Accademia di Francia a Roma, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1993, pp. 27-29; in parte, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria dell’Incisione, Brescia, 1998). (version française)
1987
Vittorio Sgarbi, Ecco i miei pittori preferiti, in “Il Piacere”, a. 4, n. 3, Milano, marzo, p. 64.
Vittorio Sgarbi (a cura di), Arte segreta. Lo spazio del silenzio, catalogo della mostra, Fiera di Milano, Cariplo, Milano, pp.128-131 (rip., in parte, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria dell’Incisione, Brescia, 1998). en français
1988
Giorgio Soavi, E un giorno Velly spense il sole e celebrò il buio, in “il Giornale nuovo», Milano, 3 aprile. (en français)
Vito Apuleo, Voglia d’arte. Jean-Pierre Velly. Magia del tempo, in «Il Messaggero», Roma, 5 aprile. en français
Enzo Bilardello (a cura di), Mostre. Mazzacurati e quelli di “Fronte”. Jean-Pierre Velly, in «Corriere della Sera», Milano, 18 Aprile (en français)
Dario Micacchi, La natura per Velly, Nucci e Cattaneo, in «l’Unità”, Roma, 28 aprile.
Mita De Benedetti, Misteri, ombre e fiori di J. P. Velly, in «Epoca», a. XXXIX, n. 1960, Milano, 1 maggio, pp. 200-201.
Franco Simongini, Velly alchimista, in «Il Tempo», Roma, 7 maggio.
Marco Di Capua, Oltre la postmodernità tornando di scoprire l’eterno della pittura, in «La Voce Repubblicana», Roma, 7 giugno.
Vittorio Sgarbi, Velly oltre Velly ovvero la speranza del niente, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma. (rip. in La stanza dipinta, scritti sull’Arte Contemporanea, Novecento, Palermo, 1989, pp. 375-377, 389; in parte, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma, 1991; in Giuliano de Marsanich, a cura di, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Accademia di Francia a Roma, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1993, pp. 30-32). (version française)
Giorgio Soavi, Fiori invernali, in Jean-Pierre Velly, Edizioni Elli e Pagani, Milano. (rip., col titolo Parma /Jean-Pierre Velly. Fiori d’inverno, in «FMR», vol. XV, n. 75, Franco Maria Ricci Editore, Milano, 1989, pp. 30-34; in parte, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma, 1991; in Giuliano de Marsanich, a cura di, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Accademia di Francia a Roma, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1993, pp. 33-35). (version française) in Deutch
Roberto Tassi, Vessilli della natura, in Jean-Pierre Velly, Edizioni Elli e Pagani, Milano (rip. in parte, in Anni ‘90: Tradizione e Prospettive, catalogo delle mostre, Roma, 1993; in Giuliano de Marsanich, a cura di, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Accademia di Francia a Roma, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1993, pp. 36-37).( version française)
1989
Dialogue de Jean-Marie Drot avec Jean-Pierre Velly, in «Villa Medici. Journal de voyage», a. Il l, n. 7-8, Edizioni Carte Segrete, Roma, dicembre, pp. 15-28. (rip. in Giuliano de Marsanich, a cura di, Jean- Pierre Velly, catalogo delta mostra, Accademia di Francia a Roma, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1993, pp. 12-15). in italiano in deutch
Ivana Rossi, Le incisioni di Jean-Pierre Velly, in Paolo Bellini (a cura di), Grafica. Annuario della Grafica in Italia, n.19, Giorgio Mondadori & Associati, Milano, pp. 63-67. (version française) in English
Berenice, Nostalgico ritorno di Minei “profeta” newyorkese, in «Paese Sera», Roma,10 aprile.
Silvia dell’Orso, Jean-Pierre Velly, in «Arte», a. XIX, n. 196, Mondadori, Milano, maggio, pp. 92-95. (version française)
Giorgio Soavi, Vellicarsi con Velly, in “Il Giornale nuovo», Milano, 28 ottobre.(en français)
Gianni Cavazzini, I miraggi di Velly, in «Gazzetta di Parma», Parma, 1 novembre.
E’ la luce, credo, la qualità poetica della pittura di Jean-Pierre Velly. Une luce che si riverbera negli spazi estesi del paesaggio di natura, una luce che si affonda nelle profondità oscure dell’interiorità umana, Su questi registri ad esempio ad ampio raggio d’incidenza si dispiega la mostra allestita dalla galleria «La Sanseverina», in cui si presenta, forse per la prima volta in forma così ampia e omogenea, l’opera di un grande solitario della nuova pittura europea.
Il mondo evocato da Velly si declina così in tutta la sua suggestione, lungo l’alveo di una ricognizione a tempo lungo e sui tramandi di variazione figurative filtrate, ogni volta, da un sottile, quasi impercettibile velario: nei paesaggi come negli autoritratti.
Al di là di questo diaframma impalpabile trafitto da piccole scaglie di luminosità, si dischiude il miraggio di una pittura senza residui, assorbita si può dire, dalla sostanza stessa della materia e del colore. Per l’intonazione felicissima di uno stile che non impresta da nessuno, Velly si impone, in tal modo, per forza propria, quale presenza prodigiosa sulla scena della figurazione contemporanea.
II prodigio scaturisce dagli stessi temi che appaiono nella pittura dell’artista: la figura, specie l’autoritratto a dosi molto limitate; e poi i paesaggi, con i fiori, i mari, i cieli trasfigurati per vie notturne. Una realtà che ci riporta alla visione romantica di Goethe: “Ogni teoria è grigia, verde cresce l’albero d’oro della vita».
E l’albero di Velly ha il suo simbolo in uno dei quadri più inquietanti della mostra: La quercia. E’ un’opera in cui le proprietà rivelatrici dell’arte esprimono i loro più alti esiti per la concentrata intensità di un immagine che racchiude nella fisica urgenza del grande albero, tutto il mistero antico e stratificato, del mondo di natura.
Se la quercia invade lo spazio, sino a costituire quasi, una barriera, il paesaggio si apre su lontani orizzonti, nel balenante trascolorare delle albe e dei tramonti. Ed è così una dimensione infinita che si apre alla passione dell’artista: uno spazio che viene conteso, in ogni frazione di tempo, tra i richiami della coscienza e gli impulsi dell’inconscio.
Il dissidio che muove l’immaginazione di Velly trova la sua rivelazione ansiosa e turbata in una sequenza di quadri straordinari per tenuta formale e per tensione visionaria: L’ora grande, prima di tutto, e poi i paesaggi sul tema di Sutri, e il desiderio estremo di Tramonto verde. In quest’opera ultima siamo ai limiti della pura visibilità come in una testimonianza concreta dell’idea che istiga, nel corso di molti anni, la riflessione teorica di Kandinsky: “scoprire il mai visto”. E il «mai visto” si svela, con la tenera poesia di una nuova alba del mondo, in Finestra con tenda, in Anemoni, in Vaso di fiori e mare, nelle “occasioni” quindi che la natura offre alla sensibilità vibratile del pittore. Roberto Tassi nel saggio, molto partecipe, di introduzione al catalogo riconduce a unità critica gli elementi che formano la sostanza rara e preziosa della pittura di Velly: una sostanza che si decanta in distillata essenza di luce.
Gazzetta di Parma Mercoledì 1 novembre 1989
I cieli notturni di Jean-Pierre Velly, in «Gazzetta di Parma», Parma, 2 novembre.
Eugenio Gazzola, II piacere del segno, in «Corriere Padano», Ferrara, 10 novembre.
Vittorio Sgarbi Velly d’oro spirito del tempo., in «Europeo», a. XLV, n. 47, Milano, 24 novembre, p. 114.
Vittorio Sgarbi, Davanti all’immagine, artisti, quadri, libri, polemiche, Rizzoli, p.294
Roberto Tassi, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria La Sanseverina, Parma (rip., in parte, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma, 1991; in parte, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria dell’Incisione, Brescia, 1998). (en français)
1990
Fausto Gianfranceschi, La bigia sul picco in La casa degli sposi, Camunia Editrice, Milano, pp. 37-45. (versione française).
Vito Apuleo, Nelle incisioni malinconia, in «Il Messaggero», Roma, 28 maggio, p. 24. en français
Maria Lombardi, Pittore scomparso nel lago, in «Il Messaggero», Roma, 28 maggio.(en français)
Introvabile il corpo di Jean-Pierre Velly, in «Il Tempo», Roma, 28 maggio.
Franco Simongini, Velly: l’incisore tra sogno e incubo, in «Il Tempo”, Roma, 29 maggio.
Scompare nel lago il pittore francese Jean-Pierre Velly, in «La Repubblica”, Roma, 29 maggio.
Giorgio Soavi, La luce all’ombra della quercia, in “il Giornale nuovo», Milano, 30 maggio (rip. in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma, 1991; Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria dell’Incisione, Brescia, 1998). (en français)
Enzo Bilardello, In memoria di Jean-Pierre Velly, in «Corriere della Sera», Milano, 16 giugno. Version francaise.
1991
Giorgio Soavi, Bellezza antica, in “il Giornale nuovo”, Milano, 6 gennaio. (en français)
Franco Simongini, Quell’angelo triste venuto dalla Bretagna, in «Il Tempo”, Roma, 20 ottobre.
Vito Apuleo, Paesaggi e ombre lunghe in un crepuscolo di luce, in «Il Messaggero», Roma, 21 ottobre. Version francaise.
Enrico Gallian, Aristocratico amanuense meravigliato dall’evento, in «l’Unità.», Roma, 24 ottobre.
Giorgio Soavi, Com’era tragico il mio tramonto, in «il Giornale nuovo», Milano, 27 ottobre. (en français)
Enzo Bilardello, Dagli antichi nascono le incisioni di Velly, in «Corriere della Sera», Milano ottobre. Version francaise.
Jean-Pierre Velly, catalogo Galleria Don Chisciotte
Silvia dell’Orso, Jean-Pierre Velly, in Paolo Bellini (a cura di) Arte fantastica e incisione. Incisori visionari dal XV al XX secolo, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano, pp. 140-144 (rip., con leggere varianti, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Forni Tendenze, Bologna, 1992; in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma, 1993; in parte, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Galleria dell’Incisione, Brescia, 1998). (en français)
Raffaelle Monti, Un’opera fiorentina di Bocklin, in Maestri contemporanei italiani e stranieri, catalogo della mostra, Galleria Forni, Bologna, pp. 50, 51, 55.
Michel Random, L’Art Visionaire, Philippe Lebaud, Paris, pp. 6, 7, 8, 10, 51, 81, 91, 96, 103, 107 - 111, 154, 156, 199, 201, 202, 205, 218, 219, 220, 221 (in italiano)
1992
Nicoletta Magnoni, Il mondo segnato con il bulino, in « il Resto del Carlino», Bologna, 30 dicembre.
1993
Marco Di Capua, Nel gorgo di Jean-Pierre Velly, in “il Giornale nuovo», Milano, 18 aprile.
Franco Simongini, Classico e visionario. Ecco Velly il ribelle, in «Il Tempo», Roma,25 aprile.
Vittorio Sgarbi, A un passo dall’Apocalisse, in «Europeo», a. XLVT, n. 17, Milano, 30 aprile, p. 80.
Liana Bortolon, Pietro Barilla: l’arte, la sua passione, in «Grazia», a. 66 n. 2724, Milano, 2 maggio, p. 63.
MOSTRA JEAN-PIERRE VELLY A VILLA MEDICI
catalogo Fratelli Palombi, Roma
part 1 part 2 part 3 part 4
Luisa Somaini, Mostre. Roma. Jean-Pierre Velly, in «la Repubblica», Roma, 17-18 ottobre.
Fausto Gianfranceschi, Italia mon amour, firmato Velly, in «Il Tempo», Roma, 20 ottobre.
Roberto Tassi, Opere al nero, in «la Repubblica», Roma, 22 ottobre. (versione française).
Marco Bussagli, Velly, incubi in punta di bulino, Milano, Avvenire, 23 ottobre
Luigi Lambertini, Trafigge la sua preda come un entomologo, in «Corriere della Sera”, Milano, 24 ottobre.
“ C’è quasi la fredezza dell’entomologo che trafigge la sua preda con lo spillone, ma c’è anche nel senso dell’efimero una commovente solidarietà e una laica pietas, che induce chi guarda a vincere ogni institiva repulsione, magari davanti a quel ratto appeso a un filo o al pipistrello inchiodato alla parete con le ali inutilmente spalancate.
Anche le luci e i colori e sopratutto i gialli solari, che nei paesaggi laziali bruciano come un’esplosione, trasferendoli dalla realtà alla contemplazione, concorrono a plasmare questa sorta di gorgo che tutto inghiotte.”
Stefania Trabucchi, Morte annunciata dell’alchimista pittore, in «Corriere della Sera”, Milano, 30 ottobre.
Guido Almansi, Sperava di scoprire il buio universale, in «Arte», a. XXIII, n. 244, Milano, ottobre, pp. 66-69.
(F. C. G.), Velly torna all’Accademia, in «Il Giornale dell’Arte», a. IX, n. 115, Torino, ottobre, p. 15.
Franco De Martino, Villa Medici: J. Pierre Velly, in «Il Quirino», Roma, 1-15 novembre.
Vito Apuleo, L’Accademia di Francia ricorda Jean-Pierre Velly, in «Il Messaggero», Roma, 3 novembre. Version francaise
Ludovico Pratesi, La doppia natura di Velly tra incanti e disperazione, in «la Repubblica», Roma, 3 novembre.
m.d.c.[Mario De Candia], Jean-Pierre Velly all’Accademia, in «la Repubblica-Trovaroma», Roma, 3-9 novembre.
Lorenza Trucchi, La spinta della luce, in «il Giornale nuovo», Milano, 7 novembre (versione française).
Marco Vallora, La sfida folle e dannata di Velly, in «La Stampa», Torino, 8 novembre, p. 15.
Ed è credibile che chi, con che sofferente umiltà, ai piedi del bellissimo ritratto di Giuliano de Marsanich, suo amico e gallerista-mecenate, scriveva con sgomento « I miei limiti sono immensi» - giocando proprio su questo contrasto hoelderliniano tra immensità del cielo espressivo e piccolezza del tratto del punto umano, che incontra e ferisce per sempre l’epidermide vulnerabile della lastra - è davvero credibile che qualcosa volesse aggiungere ancora di parlante, di «giustificatorio»; ma mai di lamentoso, di querulo. «Lasciatemi la mia notte»: come un tacito accordo. La notte anche del segno, del non espresso gorgo dell’alchimista che incide direttamente dentro il pus irrimediabile della vita. Incidere, «graver»: se vogliamo fantasticare un’etimologia, c’è sempre un annunzio di gravità, di sofferenza, in questo impulso di tratto (il «punto» lo chiamava barthesianamente Velly: Un punto ed è tutto) in cui qualcosa di grave, di irrimediabile accade sul foglio: la prometeica sfida - folle e dannata dell’artista-demiurgo. «Sull’ardesia delle mie angosce ho scritto i miei ricordi».
… Da Rembrandt e da Goya, Velly ha imparato la grande scommessa di dipingere soltanto la luce, anzi, l’ombra.
E scrive: «Le mie notti bianche erano i miei giorni. Come si assomigliano l’alba e il tramonto, a rovescio». Racconta proprio questi innaturali «rovesci»; fosforescenti notturni in cui esplode pulviscolare la fistola del tramonto, cieli inventati che scoppiano acquosi come negli amati Calvari di Altdorfer, irritati dal crepuscolo come da un eritema melanconico. E su questi sfondi sbiancati s’inscrive spesso il gioco di diteggiatura - anchilosato dal ghiaccio, degno di un Janssen - dei rami di alcheghengi o di sassifraga, Disperazione del Pittore”. [. . . I Forse le cose più belle sono proprio queste pagine d’atlante, di bestiario, pipistrelli trafitti da spilli d’inchiostro, ramarri dallo sguardo bifido ed infido, scarabei dal passo lenticolare ed infermo che tentano di raggiungere fiori che non gusteranno mai.
E il momento funebre e geloso in cui si spezza la corazza del crostaceo. E questo fa l’artista: spolpa voluttuosamente le cartilagini del mondo.
Liana Bortolon, Alessandra Masu, Le mostre della settimana-Scelte per voi, in «Grazia», a. 66, n. 2750, Milano, 10 novembre, p. 51.
Gabriele Simongini, Pennellate, in «Il Tempo», Roma, 10 novembre.
Silvia di Paola, La vita è meravigliosa ma finisce sempre male, in “La Stampa”, 10 novembre
Michele Zezza, Una storia bellissima priva del lieto fine, in “La Voce Repubblicana”, Roma, 25-26 novembre.
Jean-Marie Drot, Jean-Pierre Velly o il tempo dominato, in Giuliano de Marsanich, a cura di, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Accademia di Francia a Roma, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1993, pp. 6-11 (rip. in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra. La Galerie, Parigi, 1997).
en français in deutch
Jean-Pierre Velly et Jean-Marie Drot, Dialogo, in Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Accademia di Francia a Roma, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1993). en français in deutch
Michel Random, Quando la notte si fa luce, in Giuliano de Marsanich, a cura di, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Accademia di Francia a Roma, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1993, pp. 73-74). (version française)
Marisa Volpi, Velly notturno e diurno, in Giuliano de Marsanich, a cura di, Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra, Accademia di Francia a Roma, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1993, pp. 16-17. ( version française)
Claudio Zambianchi, Jean-Pierre Velly, in Roberto Tassi (a cura di). La Collezione Barilla di Arte Moderna, catalogo della mostra, Fondazione Magnani Rocca, Corte di Mamiano, Traversetolo, Ugo Guanda Editore, Parma, pp. 196-204, 340-342.
1994
Anna Coliva, Jean-Pierre Velly. Un’ipotesi di lettura, in «grafica d’arte», a. V, n. 17, Milano, gennaio-marzo, pp. 28-31. En français
(e. t.), Un progetto “visionario”. L’arte al Casinò del Lido, in “La Nuova Venezia”, Venezia, 18 giugno.
Alberto Cesare Ambesi, Du fantastique au visionnaire, in « Terzo occhio », a. XX, n. 72, Bologna, settembre, p. 3.
Gianleonardo Lantini, Jean-Pierre Velly, in «Next», a. IX, n. 30, Roma, inverno 93/94, p. 122.
Michel Random, Dal fantastico al Visionario, in S. V. A. Albarelli, Du Fantastique Au Visionnaire, catalogo della mostra, Le Zitelle, Venezia, Edizioni Bora, Bologna, pp. 12, 14, 16, 22, 26.
1995
Ad vocem, in Paolo Bellini, Dizionario della stampa d’arte, Antonio Vallardi, Milano, p.576.
1997
Laura Signoretti, Invito alla lettura delle stampe, ENFIN, in Grafica d’arte, n° 31
1998
Galleria dell'Incisione, Jean-Pierre Velly, catalogo
1999
Ad vocem, in E. Benezit, Dictionnaire critique et documentaire des peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs, tome 14, Grund, Paris, p. 108.
2000
Gianfranco Bruno: Nostalgia della bellezza, Ed. Skira per Appiani Arte Trentadue, Milano
Ad vocem, in Saw Allgemeines Kunsterlexikon, bio-bibliograpischer, Index A-Z, vol. 10, K.G. Saur, Munchen-Leipzig, p. 205.
2001
Ad vocem, in Jean-Pierre Delarge, Dictionnaire des arts plastiques modernes et contemporains, Grund, Paris, p. 1290.
Marco Di Capua, Europei erranti, catalogo della mostra, Galleria Forni, Bologna.
2002
Jean-Pierre Velly, catalogo della mostra al Museo dell’Agro Veientano, Palazzo Chigi, Formello, a cura di Giuseppe Appella Edizioni della Cometa, Roma
L’Apocalisse di Velly, di Lauretta Colonnelli, in Corriere della Sera, 28 aprile 2002 p. 53
Visioni rivelate e trasgredite con libertà assoluta e molteplice, in Italia Sera, 17 maggio 2002
Un gotico al sole, F.C.G in Il Giornale dell’Arte, 2002
Una fantasia incandescente animata da un sentimento mistico, di Giuseppe Appella, nel Osservatore Romano, 17 maggio 2002 (leggere il testo)
Giorgio Soavi, Profondissime incisioni nel corpo della natura, in Il Giornale, 20 maggio 2002
Ludovico Pratesi, Quelle figure grotesche in un gioco di chiariscuri, in la Repubblica, 5 giugno 2002
FORMELLO
Quelle figure grottesche in un gioco di chiaroscuri
« HO COMINCIATO il mio cammino nell’arte disegnando e dipingendo ma finalmente ho scelto il più povero dei linguaggi, l’incisione». Così l’artista francese Jean-Pierre Velly (1943- 1990) racconta la sua scelta artistica che lo ha portato ad essere annoverato tra i maestri della grafica francese contemporanea, autore di elaborate incisioni di matrice fantastica e visionaria, presentale in un’ ampia mostra retrospettiva, aperta fino al 30 luglio al palazzo Chigi di Formello (10-19; chiuso lunedì). Curata da Giuseppe Appella, la rassegna riunisce un’ottantina di opere che documentano le diverse fasi della ricerca di Velly dal 1964 al ‘90. Un itinerario visivo complesso ed elaborato che comincia con le prime incisioni dai toni drammatici popolate da figure dai tratti grotteschi ed esagerati, con corpi contorti e deformati. Col passare del tempo Velly intensifica il gioco dei chiaroscuri e infittisce il disegno per costruire immagini più affollate, come “Susanna al bagno” (1970) o la serie delle metamorfosi. Decisamente più inquietanti appaiono le opere recenti come “Le rat mort” (1986) o “L’ombre,la lumière” (1990), che chiude questa bella mostra di Velly.
Velly, l’inquieta magia del segno, di Renato Civello in Secolo d’Italia, 11 giugno 2002
Giorgio Soavi, La realtà oltre l’immagine in AD, n° 254 Luglio 2002
(en français)
2003
Velly, Beuchat, Stelluti, trois graveurs en Italie, catalogo della Galleria del Leone per una mostra alla Galleria Michèle Broutta, Parigi, dal 5 febbraio - 7 marzo 2003
Comptes - rendus du Salon International de l’Estampe, di Gilles Kraemer, in les Nouvelles de l’Estampe n° 187, Mars Avril 2003, p. 30
Ginevra Mariani, Conversazione con Jean-Pierre Velly, Istituto Nazionale per la Grafica: Lineamenti di Storia delle tecniche (2) Le tecniche calcografiche d’incisione diretta : Bulino Puntasecca Maniera Nera
Exposition de l'Oeuvre Grave au Musee d'Art Roger-Quilliote
Introduzione all’Opera Grafica di Jean-Pierre Velly, di Julie e Pierre Higonnet, catalogo della mostra antologica del Musée d’Art Roger Quilliot, Clermont-eFerrand (en français)
Jean-Pierre Velly, l’Oeuvre Gravé in Les Nouvelles de l’Estampe, ott - nov 2003
2005
Journey into the Heart of Bipolarity, an artistic point of view (Philippe Nuss, Marie Sellier, Jean-Paul Bath) , John Libbey Eurotext Publishing; Maud Thevenin Editor ISBN: 2 -7420-0578 - 1 p. 20 (Un point c’est tout)
2006
LES VISIONNAIRES, au-delà du Surréalisme, catalogue de l’Atelier Grognard, Rond Point des Arts, Rueil Malmaison (24 mars - 17 mai 2006) p. 20-22
Jean-Pierre Velly, artiste visionnaire, par Anne-Marie Velly-Fontaine, Association Bretonne, extrait du tome CXV p. 144-162
À propos de l’ “art visionnaire” de Yves Doaré, Artention, n° 30, Juillet-Aout 2006
2007
Il Bisonte, Le Malinconie di Jean-Pierre Velly (catalogo)
Maxime Préaud: un chien qui révasse ( en Français) ( in Italiano)
Velly, melancolico, di Julie e Pierre Higonnet, (lire ce texte en français)
2009
CATALOGO PANORAMA
Gerd Lindner: Dualismus der Empfindsamkeit
Pierre Higonnet : son discours
Rosaria Fabrizio in Italiano en français in deutch
*
Julie et Pierre Higonnet: corps et paysages, microscosme et macrocosme dans l’oeuvre de Jean-Pierre Velly
Körper und Landschaft: Mikrokosmos und Makrokosmos im Werk von Jean-Pierre Velly
*
Nirjan Corvisieri: la dicesa agli inferi di Jean-Pierre Velly
*
Intervista a Giuliano de Marsanich in italiano
entretien avec Giuliano de Marsanich en Français
interview mit Giuliano de Marsanich in Deutch
*
Biografischer Abriss
2010
Nouvelles de l’Estampe, Décembre 2009 - Février 2010 n° 227-228, p. 44 compte rendu du Salon du Livre Ancien, de l’Estampe et du Dessin, Paris, Avril : publication de Rosa au Soleil
Jean-Pierre Velly en son éternité” de Jean-Marc Natel, Mai 2010
2016
L’Ombra e la Luce
«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER
Direttore editoriale
Roberto Marcucci
Responsabile della Redazione
Elena Montani
Progetto grafico, impaginazione e copertina
Maurizio Pinto© Copyright 2016
Istituto Centrale per la Grafica e Accademia di Belle Arti di Roma per i testi degli autori.© Copyright 2016«L’ERMA» di BRETSCHNEIDERVia Cassiodoro, 11 Romawww.lerma.it ISBN 978-88-913-0953-2 (cartaceo)ISBN 978-88-913-0957-0 (pdf)
Finito di stampare nel mese di marzo 2016 per conto de«L’ERMA» di BRETSCHNEIDERda CSC Grafica s.r.l. via A. Meucci, 2800012-Guidonia-Roma
2017
Velly e Formello. Sardines Velly à l'huile de Formello. Opere e vita di Jean-Pierre Velly nell'agro veientano. Catalogo della mostra (Formello, 19 giugno-15 luglio 2017)